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05/12/2019 09:30:00

Mafia, caccia ai fiancheggiatori del boss Pietro Luisi

Le indagini su tre telefoni cellulari e alcuni appunti potrebbero portare gli investigatori della squadra mobile a individuare la rete di fiancheggiatori di Pietro Luisi, il giovane latitante di Santa Maria di Gesù catturato sabato mattina in un appartamento di via Rocco Jemma dopo diversi mesi di ricerche.

Con lui sono stati bloccati per favoreggiamento Gioacchino ed Eros Cusimano, padre e figlio di 56 e 28 anni. Il più giovane ha precedenti per rapina: nel 2011 era sttato arrestato con due complici per un assalto in banca a Partanna. Nel covo al quarto piano di un edificio di via Jemma, dove Luisi, 29 anni, ricercato da luglio dopo essere sfuggito a due operazione su mafia e traffico di droga, aveva trovato rifugio, gli investigatori hanno compiuto un'accurata perquisizione. I poliziotti, coordinati da Rodolfo Ruperti, hanno sequestrato i telefoni cellulari e alcuni documenti. Materiale che sarà sottoposto ad esami e verifiche per ricostruire i contatti dell'ex latitante e dei suoi favoreggiatori. Gli agenti vogliono stabilire con chi Luisi, considerato un personaggio di primo piano nel mondo del business degli stupefacenti all'ombra di Cosa nostra, si sia interfacciato negli ultimi mesi, come e dove abbia trascorso la latitanza, di quali affari si sia occupato negli ultimi tempi.

I poliziotti sono arrivati al suo nascondiglio seguendo i familiari. Quando hanno assistito alla consegna di alcuni pacchi della spesa, che sarebbero stati acquistati dalla madre di Luisi con i fondi del reddito di cittadinanza, nel condominio di via Rocco Jemma, hanno deciso di vederci chiaro. Gli investigatori si sono spacciati per inquilini del palazzo e sono giunti all'appartamento del quarto piano. Dove sabato mattina è scattata l'irruzione. Nell'alloggio c'erano il latitante e i Cusimano, che sono stati bloccati e condotti negli uffici della squadra mobile, da dove sono poi stati trasferiti in carcere.

Pietro Luisi è considerato dagli inquirenti una giovane leva del crimine che avrebbe «fatto carriera in Cosa nostra, divenendo un elemento di spicco del territorio a cavallo tra Santa Maria di Gesù e Brancaccio». È ritenuto «l'uomo della cocaina, capace di tessere i contatti con le grosse famiglie della ‘ndrangheta di far pervenire nel capoluogo siciliano grosse quantità di droga da destinare alle piazze dello spaccio». Nel corso di quest'anno ha collezionato due ordinanze di custodia cautelare, due provvedimenti restrittivi ai quali era riuscito a sfuggire come un navigato boss. Dopo l'operazione «Maredolce» del 2 luglio, poche settimane dopo il giovane era rimasto coinvolto nel blitz «Blanco» dei carabinieri, quando, tra gli altri, finirono in manette anche i fratelli Armando e Salvatore, che si sarebbero occupati dello smercio di droga nella zona di Bonagia.

In base alle indagini, Luisi avrebbe tra l'altro preso parte al traffico di sei chili di cocaina provenienti da Napoli, che sarebbero poi diventati oltre 27 mila e 400 dosi da spacciare, il 17 febbraio del 2016. In quel caso era stato arrestato in flagranza il campano Salvatore Pollaro, ma grazie agli accertamenti compiuti dai carabinieri furono ritrovate sulle confezioni di droga le impronte di Luisi, confermando che l'indagato avesse maneggiato quella sostanza.

Nell'inchiesta «Maredolce» era emerso che Pietro Luisi avrebbe avuto l'incarico di compiere missioni in Calabria per incontrare gli emissari della ‘ndrangheta e trattare l'acquisto di grosse partite di droga. Per non dare nell'occhio durante i viaggi sarebbe ricorso a un trucchetto: portare con sé sempre una ragazza, rigorosamente nubile. Nel capitolo dedicato al traffico di stupefacenti che Pietro Di Marzo, genero del boss Luigi Fabio Scimò, avrebbe gestito con Luisi si dice che i due «avevano unito le loro forze per operare sulla piazza di spaccio palermitana rifornendosi a Platì dai Barbaro sfruttando il credito che presso i calabresi poteva vantare Scimò». Un viaggio verso Platì, dai Barbaro, sarebbe avvenuto il 3 febbraio 2017. Luisi avrebbe pure dato consigli ai calabresi per investire a Palermo: «Lei vuole una piazza? Però deve fare il crack, lei basta che ha il crack lavora».