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14/02/2020 08:48:00

Peschereccio naufragato davanti la costa di Petrosino, giovane pescatore assolto

La Corte d’assise d’appello di Palermo ha confermato l’assoluzione sentenziata, a fine maggio 2018, dal gup di Marsala Francesco Parrinello nel processo abbreviato al 32enne pescatore petrosileno Giuseppe Pipitone, accusato di omicidio plurimo e lesioni a seguito del drammatico naufragio del motopesca “Tre fratelli”, un natante di circa 7 metri di lunghezza, che la notte del 23 settembre 2014, dopo essere salpato dal porto di Marsala, si ribaltò, inabissandosi, nonostante le buone condizioni meteo-marine, al largo delle coste di Petrosino, di fronte Giardinello/Torrazze.

A bordo c’erano cinque uomini, tutti mazaresi, e il bilancio fu tragico: un morto (Pietro Di Marco, di 61 anni) e due dispersi (Vito e Daniele Di Marco, di 23 e 20 anni, figli di Pietro), i cui corpi il mare non ha più restituito.

Si salvarono, aggrappandosi ad alcune reti, Giancarlo Esposto, di 46 anni, e Baldo Giacalone, di 31. A dare l’allarme, per telefono, dopo essere tornato velocemente a riva, fu uno dei tre giovani (Giuseppe Pipitone) che erano su un’altra imbarcazione da pesca nello stesso tratto di mare.

Ciò nonostante, però, Pipitone finì, poi, sotto processo con la pesante accusa di non aver dato soccorso ai naufraghi. Ma l’avvocato difensore Carlo Ferracane è riuscito a dimostrare che nessuna colpa può essere addossata al pescatore. In secondo grado, comunque, il Pg ha derubricato l’accusa in omissione di soccorso, invocando 8 anni di reclusione. In primo grado, il pm ne aveva invocati 14, ma il gup Parrinello sentenziò l’assoluzione. Nel frattempo, nella causa civile, anche il giudice Francesco Paolo Pizzo ha escluso responsabilità per Pipitone. Dalle indagini e dal dibattimento è, infatti, emerso che il “Tre fratelli” naufragò intorno a mezzanotte e mezza e che Pipitone diede l’allarme non appena gli fu possibile, alle 00.41 (11 minuti dopo), telefonando al “1530”. Rispose la Capitaneria di porto di Trapani, che circa mezz’ora dopo lo richiamò per dirgli che non era territorialmente competente e che pertanto bisognava rivolgersi alla Capitaneria di Mazara. Pipitone, dunque, chiama Mazara, ma questa aveva la motovedetta in mare per un altro servizio. Motovedetta che, anziché far subito rotta verso la zona del naufragio, tornò prima in porto (forse, doveva rifornirsi di carburante), per poi riprendere il mare e iniziare le ricerche. Ma in un punto sbagliato (Trapani avrebbe segnalato come dato di longitudine il punto 23, mentre in realtà era 28). Dalla zona in cui il motopesca era affondato transitò al ritorno, ma senza accorgersene. Ciò dopo due ore e mezza. La motovedetta, inoltre, non avrebbe dato l’allarme sul “canale 26”, quello sul quale sono obbligate a rimanere sintonizzate tutte le imbarcazioni. Non avrebbe, inoltre, chiesto soccorso ad altre forze dell’ordine che hanno motovedette in dotazione. E per questo la Procura di Marsala avviò un procedimento penale contro i militari delle Capitanerie di Trapani e Mazara impegnati quella tragica notte. Poi, però, a seguito della relazione dell’ammiraglio Vito Minaudo, la Procura chiese e ottenne l’archiviazione. Dopo l’assoluzione in primo grado di Giuseppe Pipitone, l’avvocato Carlo Ferracane, esprimendo “soddisfazione” per l’assoluzione, dichiarò: “Sono vicino ai familiari degli scomparsi per quanto accaduto loro, evidenziando che ove le Capitanerie di Trapani e Mazara si fossero mosse con maggiore tempestività rispetto alla comunicazione data da Pipitone, molto probabilmente, gli scomparsi sarebbero stati ritrovati vivi”.