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07/06/2020 08:45:00

Mastro Peppino, u scarparo e a truvatura /2

 Seconda parte

Tutti i venerdì pomeriggio nella bottega di Mastro Peppino c’era un insolito via vai di gente, maschi e femmine, soprattutto anziani. Sapendo che Mastro Peppino ogni sabato scendeva in città e giocava al lotto, diverse persone gli davano l’incarico di giocare la bolletta del lotto. Alcuni, soprattutto donne, chiedevano consulto a Mastro Peppino sui numeri da giocare in base ai sogni, circostanze, situazioni, ecc.

Il consulto diventava una sorta di confessione. Mastro Peppino intimava di parlare piano e a bassa voce e dopo avere ascoltato il sogno o il fatto, prendeva il libro della smorfia, si portava la mano sul mento, e cominciava a borbottare sempre a bassa voce, come se parlasse da solo e spesso ad occhi chiusi.

Secunnu mia, …si ..si.. è accusì; però ..si si si.. c’è stu fattu cu mi cunvinci e ….allura, ….allura stu numaru ammà a jucari e poi sta’vutru.

Annotava sul quaderno i numeri da giocare, i soldi e il nominativo di colui o colei che lo aveva delegato ad effettuare la giocata.
Categoricamente la giocata per Mastro Peppino era sulla ruota di Palermo.

Ogni tanto, per la legge dei grandi numeri, ne azzeccava qualcuno.

Vivevano nella contrada due bontemponi, cugini, giovinastri inclini alla burla. Due veri mattacchioni: Nardino u ciararu e 'Nzino u ciararu.

In un giorno del mese di luglio, nel primo pomeriggio, Nardino portò a Mastro Peppino un paio di scarpe a riparare. Essendo una riparazione di poco conto, lo fece accomodare dicendogli di attendere che seduta stante avrebbe effettuato il lavoro.

Nardino, per ammazzare il tempo, per scherzo, raccontò a Mastro Peppino che la notte precedente aveva fatto un sogno e chiedeva quindi l'interpretazione dei numeri da giocare al lotto.

Mastru Pippino, ci pozzu riri na cosa?

Parla, chi vò sapiri.

Stanotti mi sunnai un sonnu stranu.

E chi ti sunnasti?

Però vossia, si eo ci cuntu u sonnu poi ma va dare i nummari pi jucari o lotto.

Parla, rimmi ri stu sonnu.

Mi sunnava chi eo era rintra un puzzu e poi…. e poi mi firriai e vitti na coffa china china ri sordi r’oru.

Lo scarparo smise subito di lavorare, fissò negli occhi Nardino e lo incalzò:

E poi chi ti sunnasti?

Nenti, ummà ricordu chiù nenti, … picchi m’arruspigghiai.

Minchia, Nardì! .. chissa truvatura è! … E un ti ricordi chiù nenti?

Nenti, Mastru Pippì, nenti.

Si ma stu puzzu runn’era? Com’era?

Ci rissi nenti, Mastru Pippì, ummà ricordu nenti.

Era bassu o funnutu, quadratu o tunnu, siccatu o cu l’acqua?

Mastru Pippì, si ci rissi chi m’arruspighiai!

Va bo! Pacenza. Quindi viremu d’accoppiari sti numari... A truvatura currispunni a stu numaro… l’oru currispunni a stu numaru…., u problema è u puzzu!

E prese il libro.

Picchì s’è tunnu currispunni a stu numaru…., mentre s’è quadratu è chistu…, si c’è acqua a chistu, mentre s’è siccatu a sta’vutru…. Secunnu mia, …si ..si.. è accusì; però ..si si si, ….. chistu numaru amà a jucari.

Si però Mastru Pippi, eu unnà jucatu mai.

E un ti preoccupari, ta fazzu eu a jucata, anzi sai chi ti ricu, facemula ‘nsocietà.

Nardino a questo punto non poté più tirarsi indietro.

Va bene Mastru Pippì, comu facemu?

Ni jucamu ducentu liri, ternu siccu, ‘na rota ri Palermo.

Va bene, però cà astura eo unn’haio una lira.

Un ti preoccupari poi mi i porti. Anzi sai ca fari… A riparazioni ti costa ducentu liri,… a to patri ci rici che custau tricentu liri … e accussi appatti a settanta. Beddru, pulitu pulitu.

Le estrazioni del lotto li davano alla radio il sabato sera poco dopo il radiogiornale.

Mastro Peppino non perdeva l’appuntamento settimanale e con carta e penna si sedeva davanti alla radio e con aria attenta e decisa segnava i numeri estratti sulla ruota di Palermo.

Quel sabato, sentendo alla radio i numeri estratti, non credeva alle proprie orecchie. I primi tre numeri estratti corrispondevano a quelli della giocata fatta in società con Nardino.

Dopo essersi ripreso chiamò suo figlio Ciccino, ordinandogli di andare a chiamare immediatamente Nardino per comunicargli, nel contempo, che avevano vinto al lotto.

Abitando vicino, Nardino nel giro di pochi minuti lo raggiunse.

Nardinu meo, vincemu, tutti i tri numari azziccamu.

Veru Mastru Pippì. E quantu vincemu?

Rispose Nardino, pensando alla botta di culo avuta.

Novicentumila liri.

Minchia! Allura a mia quattrucentucinquamila liri m’attoccanu?

Menu centu liri da jucata chi ancora ummì l’hai pagatu.

Rispose Mastro Peppino ridendo della sua battuta.

Maronna! A’mmumenti una 500 Fiat ci vinia!

Ad un certo punto Mastro Peppino divenne serio abbassò la voce, si mise sottobraccio Nardino e gli disse.

Nardino, ascuta a mia, un’niri nenti a nuddru.

Un nicu nenti a nuddru chi vincemu, uns’avi a preoccupari.

Quali vincita e vincita, Nardì! …. Tu unn’addiri nenti a nuddru ru sonnu, ra truvatura. Anzi si ti sonni arre, a matina prestu tu ri cursa veni cà, prima chi ti scordi soccu ti sunnasti e mi cunti tutti cosi. Mi raccumannu.

Va bene Mastro Pippi, mezza parola.

Martiri a matina, scinnemu o paisi e jemu a incassari a vincita.

Nel mentre Nardino pensava tra sé e sé: Mastru Pippino meu, si sapissi mezza missa, l’atra mezza un cià ricissi. Chi ci cuntai una minchiata rossa quantu na casa.

Nardino la prima cosa che fece fu quella di andare a casa di suo cugino ‘Nzino per raccontargli della vincita; la fandonia del sogno gliel’aveva già raccontata.

E i due si scompisciarono dalle risate per il colpo di fortuna avuto.

Cucì, tu stavia arricchennu cuntannu minchiati. E ancora risate.

Mastro Peppino quella notte non poteva chiudere occhio per la cuntintizza, pensava alla vincita e si sfregava le mani e ripassava a mente la sequenza dei numeri estratti. Il primo numero corrispondeva al pozzo, e si compiaceva con sé stesso per avere scelto il numero che corrispondeva al pozzo asciutto, il secondo numero corrispondeva al tesoro, mentre il terzo numero corrispondeva all’oro. Ad un certo punto pensò a cosa corrispondesse il quarto numero estratto. Si irrigidì di colpo, andò per scendere dal letto e non ci riuscì, comincio a tremare. Appena riuscì a muoversi si precipitò nella bottega prese il libro, l’aprì e il dubbio divenne realtà, emise un grido di sconforto e rimase imbambolato. Il quarto numero corrispondeva nella smorfia napoletana alla “spuorta” il cui sinonimo in siciliano è “coffa”. Seduto sulla bassa sedia da lavoro ripeteva la parola coffa abbinata al quarto numero estratto, anteponendo or l’una or l’altro in una litania infinita. La coffa era il recipiente dove si metteva il foraggio del cavallo o del mulo, a coffa ru mulo. E Mastro Peppino abbinò la coffa al mulo e il mulo al quinto numero estratto e cominciò come a rantolare cadendo dalla sedia e sbattendo la faccia sullo spigolo dell’armadio e rimase a terra semi svenuto. Il quinto numero estratto, nella smorfia era abbinato al cavallo. Aveva un’arsura in bocca, sentiva il bisogno di bere, non riusciva ad alzarsi, continuava a tremare. Riuscì a mettersi carponi e a quattro zampe andò in cucina per bere. La domenica mattina sua moglie lo trovò seduto sulla sedia e a vederlo emise un grido di spavento. La faccia tumefatta, lo sguardo nel vuoto e non riusciva a parlare. Aveva la febbre. Lo misero a letto. Rimase coricato la domenica e pure il lunedì.

Martedì mattina, per come concordato, Nardino si presentò a casa di Mastro Peppino per raggiungere Marsala e andare ad incassare la vincita.

Mastru Pippì, chi ci successi na facce?

Chiese Nardino non appena lo vide con il volto tumefatto.

Rammi boffe, Nardì, … rammi boffe.

E picchì ci’avissi a dari boffe? Successi quaicchi cosa?

Veni cà, assettati … Sbagliamo tutti cosi, Nardinu meu, e a culpa è mia. U sonnu era perfettu e jeu unnì capi nenti. Aviamu a jucari cincu numari, Nardì, … avissimu arriccutu.

Non dando tempo a Nardino di rispondere alle domande poste e dando lui stesso le risposte, continuò.

Tu ti ricordi soccu mi ricisti, veru? Chi a truvatura era rintra a coffa, veru Nardì? E u quartu numaru chi nisciu u sai a socco currispunnia? Currispunnia a … a coffa. E a coffa a soccu servi, Nardì? A darici a mangiari o mulo, veru Nardì? E u quintu numaru chi nisciu u sai a soccu currispunnia? Currispunnia a … o mulo. Avissimu arriccuto, Nardì.

Minchia,… chi mi sta dicennu. E quantu putiamu vinciri?

Rispose Nardino pensando alla botta di culo persa

Si avissimu iucato a cinchina sicca, avvissimu sbancatu, ... n’avisimu pututu accatari a banca ri Tozzu, … cu iddru puru di rintra.

Incassarono la vincita.

Mastro Peppino andava a comprare le sigarette al tabacchino in piazza e spesso incontrava Nardino che si intratteneva al circolo con i sui amici, lo chiamava in disparte e a bassa voce gli chiedeva se si fosse sognato qualcosa.

Nenti, Mastru Pippì, ummà sunnatu nenti.

Viri di sunnariti, … chi sta vota … amà sbancari. Ni jucamo milli liri tu e milli liri eo e stavota na’ccatamu a mezza Marsala.

Di tale fatto Nardino ne parlò con ‘Nzino e al cugino, mattacchione com’era, cominciò a balenargli un’idea e dopo qualche giorno la prospettò a Nardino.

Fine seconda parte