Cosa Nostra trapanese continua ad essere fortemente radicata sul territorio. Da sempre considerata una roccaforte di tutta l’organizzazione malavitosa siciliana, secondo la relazione semestrale della Dia, continua ad agire secondo una logica familiare e clientelare.
Cosa nostra trapanese, continua a sfruttare le diseguaglianze socio-economiche della popolazione locale, e punta a reclutare manovalanza nelle fasce più povere dei cittadini, facendo al contempo affari con i più ricchi.
Nell’intero territorio trapanese le famiglie mafiose rispetto a sistemi più aggressivi, preferiscono accordi affaristici, puntando sugli apparati pubblici e condizionandone la gestione. Alla presenza delle storiche organizzazioni mafiose si aggiunge l’operatività di piccole formazioni criminali autonome, attive soprattutto nei reati predatori, e quella di sodalizi di matrice straniera, attivi invece nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel contrabbando di sigarette. Settori, quest’ultimi, generalmente tollerati da Cosa nostra in ragione della loro marginalità.
La struttura dei quattro storici mandamenti e la famiglia di Favignana - La struttura organizzativa resta ancorata ai quattro storici mandamenti di Trapani, Alcamo, Castelvetrano e Mazara del Vallo, composti in totale da 17 famiglie mafiose. Con l’operazione Scrigno dello scorso anno è stata per la prima volta scoperta l’esistenza di una cellula operativa di Cosa nostra sull’isola di Favignana, (ne abbiamo parlato qui) e dipendente e interconnessa alla famiglia mafiosa di Trapani. E la stessa operazione Scrigno conferma come il mandamento di Trapani mantenga una forte coesione delle diverse famiglie mafiose, che non stanno facendo registrare situazioni di conflittualità.
I capi dei mandamenti mafiosi di Trapani ed Alcamo, appannaggio delle storiche famiglie, sembrano privilegiare, per le posizioni di vertice, persone appartenenti alla cerchia familiare, imponendo quindi uno regime quasi “dinastico”. I due mandamenti infatti, di stretta fede corleonese - i cui esponenti di vertice sono attualmente detenuti - sarebbero retti da soggetti di loro fiducia, selezionati in base a criteri familiari.
La famiglia di Castelvetrano ha come punto di riferimento Matteo Messina Denaro, rappresentante provinciale di Trapani, alleato dei corleonesi, dei quali aveva condiviso la strategia stragista. Nonostante la lunga latitanza rappresenta ancora la figura più carismatica dell’organizzazione mafiosa trapanese. Un carisma da esercitare anche attraverso le persone appartenenti alla propria cerchia familiare, affinché il vincolo mafioso coincidesse con il vincolo di sangue. Sono stati arrestati il fratello, i cognati ed i cugini, la sorella ed un nipote.
Diversa la situazione nel mandamento di Mazara del Vallo, altro storica fazione criminale legata storicamente legata ai corleonesi. Dopo la morte per cause naturali dell’esponente di vertice Vito Gondola avvenuta nel luglio 2017, sono stati hanno colpiti numerosi soggetti ai vertici dell’organizzazione, lasciando aperta la successione per il ruolo di capo mandamento. "Al momento – scrivono gli inquirenti - la questione della reggenza non evidenzia criticità tali da innescare un conflitto interno tra le fazioni".
Per quanto riguarda gli interessi perseguiti sul territorio, la relazione della Dia evidenzia, come Cosa nostra, in particolare, l’esponente di vertice del mandamento di Trapani, Vicenzo Virga, arrestato nel 2001 dopo otto anni di latitanza, prima di darsi alla latitanza, aveva già introdotto i suoi due figli, Pietro e Francesco Virga (arrestati lo scorso anno nell’operazione Scrigno) poco più che ventenni negli affari illeciti del sodalizio.
Secondo gli inquirenti della Dia, Cosa nostra trapanese appare, da un lato sempre più protesa a divenire la mafia dei “colletti bianchi”, dall’altro resta sempre impegnata nelle tradizionali attività illecite, necessarie a far fronte alle frequenti crisi di liquidità. La consorteria continua ad imporre il “pizzo”, che rappresenta lo strumento essenziale per il controllo del territorio, oltre che una notevole fonte di guadagno, senza trascurare il traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
E nel semestre in esame luglio-dicembe 2019 c'è l’arresto avvenuto in Bolivia di Paolo Lumia originario di Mazara del Vallo e in passato vicino a Cosa nostra, ritenuto tra i narcotrafficanti di maggior rilievo internazionale ed in stretti rapporti con i cartelli colombiani. L’uomo aveva coordinato la spedizione di oltre 430 kg di cocaina, stivata a bordo di una barca a vela salpata da Panama e sequestrata nelle acque della Polinesia Francese, alla fine di maggio 2019, dalla Gendarmeria del Paese d’oltralpe.
E sempre per quanto riguarda il traffico di droga, nell’ambito dell’operazione denominata “Eden III – Pequeno”, sono stati tratti in arresto 3 pluripregiudicati, tra i quali un ex avvocato, Antonio Messina, radiato dall’albo professionale, del quale erano stati accertati, in seguito agli esiti di diverse attività investigative, significativi rapporti con esponenti apicali di Cosa nostra.
Da luglio a dicembre 2019 nell’ambito dell’operazione “Eldorado”, la DIA di Trapani ha tratto in arresto Epifanip Agate, figlio dello storico capo della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, Mariano Agate. L’arrestato dopo il sequestro di alcune aziende operanti nel commercio ittico, con la complicità di un amministratore giudiziario, Maurizio Lipani nominato dal Tribunale (anch’egli indagato, nello stesso procedimento penale, per peculato ed impiego di denaro provento da attività illecita), ha continuato ad occuparsi della gestione delle aziende; in particolare ha contattato clienti e fornitori e, soprattutto, riscosso i crediti pendenti, vanificando, in parte, gli effetti del sequestro antimafia. Le società erano state sottoposte dal Tribunale di Trapani a sequestro di prevenzione nel maggio del 2018 ed il professionista incaricato dell’amministrazione giudiziaria aveva distratto, a proprio vantaggio, somme di pertinenza delle aziende mediante prelevamenti e bonifici inviati sui propri conti personali.