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29/07/2020 07:00:00

Mafia. Rilievi della difesa fanno slittare sentenza nel processo a Matteo Tamburello

 Colpo a sorpresa, in Tribunale, a Marsala, nell’udienza che doveva essere l’atto finale nel processo al 57enne presunto boss mafioso mazarese Matteo Tamburello, accusato di associazione mafiosa e di violazione della sorveglianza speciale.

E per il quale il pm della Dda Pierangelo Padova ha invocato la condanna a 20 anni di carcere. A sorpresa, però, i rilievi mossi dall’avvocato difensore Luigi Pipitone nel corso del processo e soprattutto dell’arringa finale hanno avuto l’effetto di spingere i giudici a decidere di procedere ad ulteriori accertamenti (“integrazioni probatorie”) sui alcuni punti. Cinque, in particolare, quelli ritenuti “assolutamente” necessari “ai fini di una corretta decisione”. Anche perché il pm della Dda Pierangelo Padova per l’imputato ha invocato una condanna piuttosto severa: venti anni di carcere. Il Tribunale (presidente del collegio: Vito Marcello Saladino, giudici a latere Andrea Agate e Francesca Maniscalchi) ha, pertanto, deciso di ascoltare nuovamente, l’11 settembre. il capitano dei carabinieri Salvatore Marchese.

E ciò “in ordine: a) alle concrete circostanze probatorie (ad esempio, come riferito dallo stesso teste, intercettazioni ambientali non acquisite a dibattimento o relazioni di osservazione fissa presso l’abitazione del Tamburello) da cui apparirebbe eventualmente desumibile la presenza dell’imputato all’interno della cava di tufo in cui svolgeva attività lavorativa nella giornata del 26 novembre 2016; b) concrete modalità di riconoscimento di Urso Raffaele (presunto mafioso campobellese arrestato nell’operazione “Annozero” e già condannato in primo grado, in abbreviato, a 18 anni e 4 mesi di carcere, ndr) con riferimento all’ingresso dello stesso presso la cava di tufo nella predetta data; c) rilievo criminale dello stesso Urso Raffaele alla luce delle acquisizioni d’indagine conosciute all’epoca dei fatti per cui è processo, avuto riguardo alla sua veste di ‘esponente mafioso apicale’ delineata in imputazione; d) eventuale sussistenza negli atti d’indagine di videoriprese concernenti l’incontro tra l’imputato e Messina Dario (presunto nuovo capomafia di Mazara, anche lui arrestato in “Annozero”, ndr) in data 22 luglio 2017 e quello tra Tamburello e Mattarella Giovanni (genero del defunto boss mafioso di Mazara Vito Gondola, detto “Coffa”, ndr)il 15 novembre 2017”.

Il Tribunale ha, inoltre, deciso di ascoltare il carabiniere scelto Gianclaudio Razete e il maresciallo Jessica Barattin. Sarà, poi, effettuato un supplemento di perizia, ai fini della trascrizione, di una intercettazione ambientale del 26 ottobre 2017 all’interno di una Ford Focus. Per questo, sarà incaricata Vincenza Lo Verde. Saranno, infine, acquisite le dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del latitante Matteo Messina Denaro, su Raffaele Urso. Altri due punti sui quali puntava l’accusa, ma che sono stati contestati dall’avvocato difensore Luigi Pipitone, sono quelli relativi alla condanna a nove anni inflitta, per mafia, nel 2009, dal Tribunale di Marsala (presidente Renato Zichittella) a Matteo Tamburello, escludendone però un “ruolo direttivo” in seno alla famiglia mafiosa mazarese, un’intercettazione in cui agli investigatori era sembrato che il 57enne presunto boss mazarese avesse fatto il nome di Vito “Coffa”. In realtà, Tamburello avrebbe detto “Nino Pompa”, che era un suo ex dipendente. “E che non disse Vito Coffa – sottolinea l’avvocato Pipitone – è stato stabilito da ben due perizie”. A Tamburello gli investigatori contestano di essersi mosso, dopo l’uscita dal carcere, a fine novembre 2015, per riorganizzare gli assetti del mandamento mafioso di Mazara, al cui vertice, nel frattempo, sarebbe assurto Dario Messina.

“Le indagini sul mandamento mafioso di Mazara – hanno spiegato i carabinieri del Ros - hanno permesso di individuare la fase riorganizzativa degli assetti di vertice, fornendo importanti elementi sulla sua collocazione baricentrica nelle relazioni criminali nella Sicilia occidentale”. In aula, però, nel corso del processo, Matteo Tamburello si è difeso affermando che dopo avere scontato la sua pena (nel 2009, il Tribunale di Marsala lo condannò a 9 anni e mesi di carcere per mafia) si è trovato senza un lavoro (con il padre, il defunto Salvatore Tamburello, anche lui condannato per mafia, aveva un’impresa di trivellazioni) e senza denaro.

“Dopo essere stato scarcerato – ha detto Matteo Tamburello, tornato in carcere l’11 dicembre 2018 con l’operazione Eris – chiedevo lavoro a tutte le persone che incontravo. Avendo moglie e figli, non potevo sempre andare a chiedere denaro a mia madre. Alle mie richieste, però, non avevo riscontri. Mi dicevano: ‘Ora vediamo…’, ma vista la mia situazione nessuno di dava lavoro. Solo uno mi disse apertamente che non mi dava lavoro per i miei guai con la giustizia, Fabrizio Vinci (il 10 maggio 2017 arrestato nell’operazione antimafia “Visir” e lo scorso 9 aprile condannato, in primo grado, a 12 anni dal Tribunale di Marsala, ndr). Vinci ridendo mi disse: ‘Mi vuoi rovinare? Con tutti i problemi che hai avuto…’. Io ero disposto anche a lavare i piatti. La mia situazione economica era disastrosa. Poi, nell’agosto 2016, trovai lavoro come manovale in una cava di tufo di contrada San Nicola gestita da Agostino Evola”. Per gli inquirenti, però, Tamburello sarebbe stato il vero proprietario della cava, ma l’avvocato difensore Luigi Pipitone è riuscito a far cadere l’accusa di intestazione fittizia prima dell’avvio del processo.