Distrarre, puntare i riflettori da un’altra parte. La tattica del Presidente Nello Musumeci per distogliere l’attenzione sul numero crescente dei contagi da Covid, dovuti principalmente all’incremento dei flussi turistici e alla sregolata movida notturna, è stata immediatamente smascherata. La colpa, come al solito, sarebbe degli immigrati. Che d’altronde sono abituati a vestire i panni del capro espiatorio di turno. Stavolta, però, la soluzione al problema vuole essere definitiva e drastica, tuona Musumeci: «La Sicilia non può continuare a subire questa invasione di migranti. Tra poche ore sarà sul mio tavolo l’ordinanza con cui dispongo lo sgombero di tutti gli Hotspot e dei Centri di accoglienza esistenti». Così da estirpare il male alla radice e debellare la peste una volta per tutte: si preparino gli aerei per il rimpatrio, la Sicilia resti ai soli siciliani. E a tutti i turisti nazionali e internazionali dotati di passaporto, naturalmente.
Sono anni che una certa politica “sovranista” ci parla dell’invasione degli immigrati, di numeri incontrollabili, del fenomeno ingestibile. Ma è davvero così? C’è davvero in corso da anni un’invasione inarrestabile? Il fenomeno è davvero ingestibile?
Per aiutarci a rispondere a queste domande ci serviremo dei dati riportati da un saggio indispensabile per orientarsi all’interno di un argomento così complesso: L’invasione immaginaria. L'immigrazione oltre i luoghi comuni di Maurizio Ambrosini (Laterza, 2020), docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli Studi di Milano.
Proviamo ad essere schematici e sintetici. Innanzitutto, è necessario sottolineare che il problema migratorio è soprattutto un problema percettivo. L’idea di essere accerchiati da un esercito di migranti, che vengono in Europa per rubare lavoro e renderci ancora più poveri di com’eravamo, è solo un’errata sensazione. Secondo l’Istituto Cattaneo, i cittadini dell’Unione Europea sovrastimano la percentuale dei migranti nei loro paesi: gli intervistati pensano siano il 16,7% dei residenti sul territorio dell’Unione, quando invece sono meno della metà, il 7,2%. In Italia arriviamo a un totale stravolgimento dei dati: si pensa che gli immigrati siano il 25% della popolazione residente, ma corrispondono soltanto al 7%. In questo contesto bisogna sottolineare che le percentuali si riferiscono a immigrati non provenienti da stati che fanno parte dell’UE.
Perché quando parliamo di immigrati dovremmo sempre sottolineare qual è la natura della loro migrazione, il loro luogo di provenienza, le ragioni che li spingono a spostarsi. E non limitarci a raggrupparli in una categoria indistinta.
Se si volesse ad esempio fare un discorso generale sull’immigrazione, potremmo sfatare altri miti che ormai si sono radicati nella coscienza collettiva del nostro Paese. Poche e chiare informazioni: gli immigrati residenti sono perlopiù donne (52%) e sono prevalentemente europei (50, 9%) di cultura cristiana.
Sottolineiamo inoltre che i numeri dell’immigrazione irregolare, che dovrebbero essere di 530 mila unità (Fondazione ISMU 2018), non sono affatto in crescita rispetto a dieci anni fa. Anzi, diminuiscono, dal momento che l’Italia negli ultimi anni offre molte meno occasioni di lavoro rispetto al passato.
Per frenare l’immigrazione - sentiamo continuamente in televisione o sui social - bisogna aiutarli a casa loro. Ma in realtà, gli immigrati ci pensano già da soli ad aiutarsi a casa loro. Le rimesse, ovvero il denaro che mandano ai familiari in patria, nel 2016 erano stimate a 573 miliardi di dollari, nel 2017 a 613 miliardi, di cui solo 466 inviati in paesi in via di sviluppo, sostenendo in questo modo 800 milioni di persone nel mondo. Perché le rimesse non sono soldi rubati all'Europa o all’Italia, altra comune vulgata, ma la prima politica per frenare il movimento migratorio. Se non avessero la possibilità di usufruire di quelle rimesse, cosa sarebbero costrette a fare quelle 800 milioni di persone? Ma in Italia non si capisce, e infatti dal 1° gennaio 2019 il primo governo Conte ha introdotto una tassa dell’1,5% sulle somme inviate ai paesi extracomunitari.
Piuttosto che pensare allo sgombero forzoso degli hotspot e dei centri di accoglienza, promettendo fantomatici jet tricolori per liberarci dalla minaccia del migrante, la domanda che resta è: che fare?
Intanto: leggere, studiare, informarsi. Consultare saggi bene argomentati come L’invasione immaginaria di Ambrosini. Perché la questione migratoria non è una faccenda da potere affrontare con la “scienza del bar”; le opinioni personali, talvolta false percezioni, non contano quanto i numeri effettivi e i fatti concreti.
E poi spendersi per politiche efficaci, come le politiche di reinsediamento, da tempo auspicate dall’ONU, che - spiega Ambrosini - consistono nell’«accoglienza, in base a quote prefissate, di chi ha trovato provvisorio rifugio in un primo paese d’asilo».
Azioni complesse, che si fondono su due imprescindibili condizioni: la dignità delle persone coinvolte e la gestione comunitaria e condivisa di qualsiasi decisione.
Le voci che tuonano da sole producono solo fastidiosi rimbombi, che finiscono per alimentare inutili e ingiustificate paure.