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26/09/2020 06:00:00

Marsala, Centonze e quell'omicidio in carcere su commissione

 Qualcuno avrebbe dovuto eseguire un omicidio in carcere. Assassinare l'uomo che aveva ucciso il figlio di un tizio, amico di amici.

Il progetto omicida poi è sfumato perchè gli inquirenti hanno scoperto il piano grazie ad una intercettazione e trasferito il detenuto a rischio agguato.

C'è anche questo nel provvedimento con cui la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani ha ordinato la confisca di beni per circa tre milioni di euro appartenenti al nucleo familiare del 51enne pregiudicato marsalese Pietro Centonze, cugino del capomafia ergastolano Natale Bonafede, che nel suo passato ha un paio di condanne di non di poco conto. Nel 2005, infatti è stato condannato a due anni e mezzo di carcere per favoreggiamento della latitanza dei boss mafiosi e killer Giacomo e Tommaso Amato. Nel 1995  invece è stato condannato ad anno e 7 mesi per estorsione e ricettazione in concorso con Francesco Lombardo.

Centonze, è quindi un uomo noto alle cronache giudiziarie, alle aule di tribunale, e alle patrie galere. E proprio in carcere avrebbe dovuto compiere un omicidio su commissione.

La vittima designata era il tunisino Ben Rajeb Bekir, in carcere per aver ucciso, con una coltellata allo stomaco, all’alba del 13 gennaio 1998, in contrada Sant’Anna, a Marsala il giovane imprenditore marsalese Vito Maltese. Il tunisino poco dopo il delitto si è costituito e ha confessato. Un omicidio per sbaglio, però. Perchè ai poliziotti, all'epoca, spiegò che la sua vittima doveva essere, invece, il padre dell'uomo ucciso, suo ex datore di lavoro, titolare di un'azienda per la lavorazione del tufo.
Il tunisino aggiunse che il suo titolare aveva anche tentato di abusare sessualmente di lui.

Insomma, succede che in una conversazione  tra Luigi Adamo, ritenuto uomo di mafia, e Pietro Centonze, viene fuori quella che sarebbe stata la richiesta di Vito Maltese, padre dell'uomo ucciso: avrebbe chiesto a un esponente della famiglia mafiosa marsalese di uccidere Bekir in carcere. Ma mentre i due parlano le cimici registrano tutto.


“L’Adamo – si legge nel provvedimento del Tribunale - chiedeva, quindi, al Centonze di rammentargli di trasmettere la richiesta, per il cui accoglimento l’interessato era disposto a pagare qualsiasi cifra, e, pur trovandola azzardata, la definiva fattibile”. “E’ venuto uno che vuole fatto un favore – dice Adamo a Centonze - ma cose fattibili... chiddu chi appi ddra u riscursu tannu so figghiu... l’ammazzau u tunnisinu!”.


Una conversazione che, una volta ascoltata, aveva portato la polizia a trasferire il detenuto in pericolo di vita in un altro penitenziario.

Dalla stessa conversazione, si legge ancora nel provvedimento di confisca, “si ricava che il Centonze era a conoscenza del traffico di stupefacenti del tipo cocaina gestito dal proprio interlocutore per conto della famiglia”. 


Sull'episodio e sulla confisca dei beni è intervenuto l'avvocato di Centonze, Diego Tranchida che commenta: “Il provvedimento – spiega il legale - non tiene conto della più recente e garantista giurisprudenza di legittimità e della stessa Corte Costituzionale per verificare, senza automatismi, la sproporzione dei beni e l'attualità della pericolosità sociale anche nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. Poi – aggiunge - già lo stesso Tribunale di Trapani, Sezione per le misure di prevenzione, con precedente decreto, aveva valutato il ‘curriculum criminale’ del Centonze Pietro negli stessi termini di pericolosità e di consistenza patrimoniale con un non luogo a provvedere e dunque con la restituzione di tutti i beni in sequestro. Per questi motivi è stato già avanzato ricorso in appello”.