Antonio Ingroia ha perso a Campobello di Mazara. E’ stato travolto da più di 4000 voti dal sindaco uscente Giuseppe Castiglione, mentre lui si è fermato a poco più di un migliaio. Un divario enorme.
E ciascuno ha la sua spiegazione: Castiglione dice che i campobellesi hanno premiato la sua buona amministrazione, Ingroia dice che nella terra di Messina Denaro ha vinto la paura.
Ma perché l’ex Pm è stato bocciato? Solo perché “candidato forestiero” che non può conoscere i problemi di Campobello?
Non basta.
Qualcuno ha paragonato la sua scelta a quella di Sgarbi a Salemi nel 2008: un personaggio noto che si candida in una cittadina del trapanese.
Sgarbi però fu eletto. Anche se alla fine sciolsero il comune per mafia, ma quello è un altro discorso.
Certo, le differenze tra i due sono profonde.
Sgarbi era televisivo, polemista, accentratore, provocatore. Ingroia, nell’immaginario della gente, è il magistrato della “trattativa Stato-mafia” che ha lasciato tutto, per fare l’avvocato e mettersi in politica, con un modo di comunicare demolito sul nascere dalle imitazioni di Crozza.
Sgarbi, nel suo comizio di chiusura della campagna elettorale, oltre a tanti ex democristiani, aveva sul palco la Parietti e “Patrick di Striscia la notizia” che distribuiva gongoli ai bambini urlanti. Oltre ad uno sponsor “di spessore” come Pino Giammarinaro, amato da tutti i Salemitani, asse portante dell’Udc a Trapani, ex latitante ed ex sorvegliato speciale con obbligo di dimora, anche se assolto dalle accuse di mafia.
Sul palco di Ingroia invece c’era Nicola Cristaldi, il baffuto ex sindaco di Mazara del Vallo.
Mentre il suo principale sponsor era Tommaso Di Maria, un giovane consigliere comunale 5 Stelle che ha convinto l’ex pm a candidarsi, senza passare dall’approvazione del Movimento.
E se Sgarbi veniva percepito come la persona giusta che avrebbe portato “lavoro” grazie alle sue conoscenze e ai suoi progetti audaci, Ingroia, da simbolo della legalità non poteva che essere visto come distante anni luce non solo dai mafiosi, ma anche da tutti quei personaggi inopportuni che spesso gravitano nei gruppi politici delle piccole cittadine del sud.
Un compito arduo in tempi elettorali, per chi non è più magistrato e svolge la sua professione di avvocato.
Soprattutto perché, tra i suoi clienti ha avuto il campobellese John Calogero Luppino, il “re delle scommesse on line” arrestato per mafia l’anno scorso, insieme a Salvatore (Mario) Giorgi.
Si tratta di due esponenti del gruppo politico “Io amo Campobello”, inizialmente a sostegno del sindaco Castiglione nel 2014 e poi all’opposizione.
Secondo i pm della dda di Palermo, che gli trovarono a casa anche dei lingotti d’oro, Luppino avrebbe affidato a mafiosi alcune agenzie, destinando una parte dei guadagni anche alla cosca di Matteo Messina Denaro. La sua ascesa imprenditoriale così rapida nel campo delle scommesse, sarebbe stata favorita dai mafiosi dei mandamenti di Castelvetrano e Mazara del Vallo che, pena pesanti ritorsioni, obbligavano i vari esercenti ad istallare le loro “macchinette”.
Essere stato l’avvocato di Luppino, non ha giovato alla candidatura di Ingroia.
E’ chiaro che si tratti di scelte legittime: il lavoro è una cosa e la politica un’altra. Ma forse ad una parte di elettori la cosa non è andata giù. E forse non hanno visto di buon grado nemmeno la designazione ad assessore di Michele Melchiorre, compare di Luppino ed avvocato nello studio legale di Ingroia a Palermo.
Nel giorno degli arresti, il sindaco Castiglione aveva rivolto un plauso ai carabinieri e alla DDA di Palermo, che Melchiorre aveva commentato così sui social:
“Plauso per cosa? Pensa a fare il tuo dovere che forse li prendi anche tu gli applausi quando riuscirai a fare almeno un quarto di quanto ha fatto per Campobello Calogero Luppino, che oltretutto ti ha fatto eleggere anche con l’aiuto del gruppo Io Amo Campobello…”, dopodiché aveva ricordato al sindaco il principio della presunzione di innocenza fino all’esito del terzo grado di giudizio.
In effetti, Luppino, figura chiave dell’inchiesta “Mafia Bet”, è ancora sotto processo davanti il Tribunale di Marsala, quindi molto lontano dall’esito del terzo grado di giudizio.
Però non si può escludere che in termini di opportunità, queste vicinanze (assolutamente legittime, perché di natura professionale) non siano andate giù a quella parte di campobellesi che avevano considerato l’ex pm distante da qualsiasi ambiguità.
Come è probabile che non sia andato giù quel video dell’incontro di Ingroia col gruppo dirigente dei futuristi di Cristaldi, in cui, insieme all’ex pm, è seduto a parlare di progetti anche Antonio Di Natale, detto “Cavallo pazzo”. Anche lui ex consigliere comunale di Campobello, che proprio la Procura di Palermo aveva ritenuto vicino alla cosca mafiosa, condannato per le mazzette pretese dall’imprenditore mazarese Vito Quinci per la realizzazione di un albergo a Tre Fontane. Gli inquirenti avevano sottolineato come, nello stesso periodo saliva sul palco in piazza con questore e sindaco (ai tempi di Ciro Caravà) per la “Giornata della legalità”.
“Bisogna mettere insieme tutte quelle forze che sono contro quel sistema che ha governato malissimo e soltanto per gli amici” aveva detto Ingroia, durante l’incontro con Cristaldi.
E tra queste forze non aveva escluso nemmeno il sostegno del gruppo di Doriana Licata, avendo considerato coerente un eventuale appoggio “rispetto alle posizioni che Doriana Licata aveva preso fino a poco tempo fa”.
Lei è un’ex assessore provinciale, (nipote di Carmelo Patti, defunto patron di Valtur), il cui fratello Aldo Roberto Licata è stato condannato per averle comprato i voti nel 2012, quando si era candidata all’Ars (non riuscendo però ad essere eletta) con l’Mpa di Raffaele Lombardo.
“Semplice” corruzione elettorale, dopo che l’accusa originaria di voto di scambio politico-mafioso era caduta.
Insomma, candidarsi come simbolo di legalità non è mai facile. Soprattutto quando i più esigenti subiscono l’inopportunità di scelte che, in altri contesti, data la loro legittimità sarebbero state accettate senza alcuna critica.
Forse Ingroia ha perso perché la sua rivoluzione legalitaria non ha convinto.
Egidio Morici