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01/12/2020 08:39:00

Trapani, caso Bucaria. Non ci sono tracce di Dna sul fucile del tentato omicidio di Cuntuliano

 La perizia sul fucile utilizzato per il tentato omicidio di Domenico Cuntuliano avvenuto nel 2013 nelle campagne di Trapani, apre nuovi scenari.

Sull'arma, infatti, i periti non hanno rinvenuto tracce genetiche compatibili con il Dna dell'ex fontaniere del Comune del capoluogo Gaspare Gervasi accusato di essere l'esecutore materiale dell'agguato e condannato, in via definitiva a 12 anni di carcere, e del presunto mandante, l'imprenditore Matteo Bucaria, cognato della vittima, arrestato dalla polizia lo scorso mese di agosto e in atto detenuto.


Il risultato della perizia è stata consegnata al Gip. Ieri mattina, la discussione in udienza per far entrare l'esito dell'esame balistico nel fascicolo delle indagini. Bucaria si è sempre dichiarato estraneo ai fatti. Ad accusarlo è stato Gaspare Gervasi in alcune lettere inviate ai familiari. L'agguato venne messo a segno nelle campagne di Guarrato. La vittima, che lavorava in una impresa del cognato, venne raggiunta da un colpo di fucile caricato a pallettoni. Ferito riuscì a salire in auto e a raggiungere il centro abitato dando l'allarme.

Soccorso, Cuntuliano che all'epoca dei fatti aveva 49 anni, è stato trasportato prima al Sant'Antonio Abate di Trapani e successivamente accompagnato con l'elisoccorso a Palermo.

Il movente del tentato omicidio sarebbe riconducibile a problemi economici dell'imprenditore che così avrebbe progettato di eliminare il cognato per impossessarsi del suo patrimonio.

All'origine della vicenda, la difficile condizione economica in cui era precipitato il cinquantaduenne imprenditore trapanese, sfociata poi in una sentenza di condanna per bancarotta. Bucaria per far fronte ai debiti avrebbe deciso di eliminare il cognato per puntare al suo cospicuo patrimonio derivante, da cespiti ereditari e da un compenso assicurativo milionario di oltre 600 mila euro.

Nel settembre 2019, a seguito di un esposto anonimo, le indagini, coordinate dalla Procura di Trapani sono state riavviate. Attraverso la rilettura degli atti processuali pregressi, il riascolto delle intercettazioni dell’epoca sono stati raccolti gravi elementi indiziari.

Decisivo per la risoluzione del Cold case, il sequestro di una lettera scritta dal carcere da Gervasi al mandante. Nella missiva l'ex dipendente comunale si lamentava per non aver ricevuto il compenso concordato per l’esecuzione del crimine, rimarcando di aver bisogno di un’ adeguata rendita per la sua famiglia come ristoro di quanto era derivato dalla sua carcerazione. Gervasi poi ha iniziato a collaborare, ricostruendo con dovizia di particolari tutta la vicenda ed offrendo quindi pieno riscontro a quanto già accertato dagli operatori della Squadra Mobile.