"Da ciò che è emerso nel corso del lungo dibattimento possiamo ricavare una certezza: che negli anni un cui si sono verificati i fatti nella risposta al crimine organizzato da parte degli organi preposti qualcosa non ha funzionato per come avrebbe dovuto funzionare. Ci si riferisce, è bene essere espliciti, a comportamenti opachi e anche delittuosi, è bene dirlo, da parte di appartenenti allo Stato di soggetti alcuni dei quali sono rimasti nell'ombra". Con queste parole il sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici ha iniziato la requisitoria nel processo d'appello del processo trattativa Stato-mafia.
"Incomprensibili omissioni", rappresentanti dello Stato che si sono comportati "in modo opaco" e "certamente delittuoso" e "pupari" e "menti raffinatissime" che "hanno agito nell'ombra" per avviare una trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra per chiedere di fermare le stragi mafiose. Non usa giri di parola il sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici che, nella prima udienza del processo d'appello trattativa Stato-mafia dedicata alla requisitoria, ribadisce con forza: "Chi ha agito fuori dalle leggi lo ha fatto per salvare un determinato assetto di potere e per tutelare il rapporto con la politica. Lo ha fatto facendo favori ai mafiosi, al di fuori dalle corrette dinamiche democratiche. E noi vogliamo sapere perché". Una domanda che aleggia da anni, già nel primo grado del processo. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudice scrissero che "L'improvvisa accelerazione che ebbe l'esecuzione del dottore Borsellino" fu determinata "dai segnali di disponibilità al dialogo - ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci - pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D'Amelio".
Alla sbarra, per minaccia a Corpo politico dello Stato, gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno e l'ex capo del Ros Antonio Subranni, l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, che oggi per la prima volta è pesante in aula, i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca. Gli imputati, tranne Brusca per cui fu dichiarata la prescrizione, sono stati condannati a pene pesantissime. La Corte d'Assise d'appello ha, invece, dichiarato prescritto il reato di calunnia contestato a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo. Per i giudici di primo grado un ruolo importante determinante sarebbe stato svolto anche da Marcello Dell'Utri: "Con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funzione di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992", scrissero nelle motivazioni.