Località segreta, massima sorveglianza, nessun contatto con la sua vecchia vita, e un'indennità di Stato.
La nuova vita di Giovanni Brusca, adesso, è tutta da pianificare. La sua scarcerazione per “fine pena” doveva avvenire in autunno, ma è stata anticipata. La cosa ha sconvolto i familiari delle vittime di mafia e spiazzato il Servizio centrale di protezione, l'ufficio che si occupa dei collaboratori di giustizia.
Bisognerà trovare un luogo segreto e che offra sufficienti garanzie di sicurezza. Un contesto in cui Brusca possa non destare nell'occhio, e la cui identità non venga scoperta. Dovrà trovare un lavoro, per integrare l'indennità prevista dal programma di protezione. Fa tutto parte del contratto che Brusca ha siglato con le istituzioni. Contratto che lo Stato siglò per ottenere le rivelazioni di uno dei mafiosi più influenti e fidati di cosa nostra. E i segreti che ha svelato, ora che è libero, attirano molti nemici che potrebbero vendicarsi.
Uno dei killer più spietati, poi diventato collaboratore di giustizia, scarcerato dopo 25 anni di reclusione. Trascorrerà i prossimi anni da sorvegliato speciale, con obbligo di dimora nella località segreta in cui verrà assegnato. Segreta perchè con le sue dichiarazioni Brusca ha svelato molti crimini di cosa nostra, ha fatto arrestare boss, e chiarito molti (ma non tutti) aspetti dei fatti più cruenti della mafia in Sicilia. Fatti di cui lui stesso è stato protagonista, dalla bomba di Capaci da lui stesso azionata per far saltare in aria Falcone, all'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Tra le 100 e le 200 persone sono state uccise da Brusca, che torna libero, suscitando la rabbia di molti, soprattutto tra i familiari delle vittime di mafia
In queste ore è spuntata un’intervista realizzata per un documentario francese a Brusca. Il pentito, nascosto da un passamontagna davanti alle telecamere, chiede scusa alle vittime. "Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso (di farlo) per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell'anima [che è nata l'intenzione] di farlo. Di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere". "Ho cercato (in questi anni da collaboratore di giustizia) - dice Brusca nell'intervista video - di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia. E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana. Perché consente di mettere fine a questo, Cosa nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un'agonia continua".
Ma continuano in queste ore le reazioni del mondo politico e soprattutto dei familiari delle vittime.
Claudio Fava
“Che Brusca, scontata la sua pena, venga scarcerato è un fatto normale. Quello che non è normale, invece, è che dopo 30 anni la verità sulle stragi sia ancora tenuta ostaggio di reticenze, viltà e menzogne”. Così il Presidente regionale dell'Antimafia all'Ars Claudio Fava.
Salvatore Borsellino
"L'alternativa, in assenza dell'ergastolo ostativo - sottolinea ancora Salvatore Borsellino- sarebbe stato vedere tra cinque anni questa persona libera senza neppure aver collaborato con la giustizia e senza aver permesso di assicurare alla giustizia tanti altri criminali come lui". Al pentimento di Brusca, però, Salvatore Borsellino non crede. "Anche perché la sua collaborazione con la giustizia è stata molto travagliata: in un primo tempo aveva cercato di fingere per minare le istituzioni. Non credo si sia veramente pentito, come, invece, ha fatto Gaspare Mutolo, assassino anche lui, che ha ucciso, strangolandole, 50 persone a mani nude, ma che oggi penso sia una persona veramente cambiata. Di Brusca non ho questa impressione".
Anche perché, è la tesi del fratello del giudice antimafia, "non ha raccontato neanche tutto quello che sa e che avrebbe potuto dire. Sicuramente, però, quello che ha detto è stato tanto e ha permesso di fare tanti processi, di assicurare tanti criminali come lui alla giustizia". Il ritorno in libertà di Brusca può costituire un pericolo? "E' fondamentalmente un criminale, di una persona che uccide un bambino e lo scioglie nell'acido dicendo che era come un cagnolino non ci si può fidare appieno. Ma non credo che possa costituire oggi un pericolo".
Giovanni Montinaro
“Mi auguro solamente – dice Giovanni Montinaro, figlio del caposcorta di Falcone ucciso nella strage di Capaci – che Brusca venga mandato lontano, lontano dalla mia Sicilia, per sfregio ai siciliani, troppo spesso carenti di coraggio, andrebbe portato qui, d’altronde se non scendono in piazza per una cosa del genere significa che si adatterebbero a convivere con questo subumano. Ma questo non dovrà accadere, perché fra tutti questi siciliani, ci siamo noi, che lo siamo per adozione, ma siamo comunque più siciliani di tutti gli altri, perché questa terra si è macchiata del sangue del mio sangue, perché questa terra è terra di lotta anche grazie a mio padre”.
Associazione Georgofili
L’Associazione Vittime della Strage di Via dei Georgofili sulla scarcerazione di Giovanni Brusca, afferma in una nota che «il nostro giudizio si divide in due: umanamente ci sentiamo offesi, razionalmente sappiamo che è frutto della legge sui pentiti voluta da Falcone che ha permesso di conoscere la mafia e molte verità sulle stragi».
L’Associazione infatti esprime «a livello umano, sorpresa e disappunto ma allo stesso tempo, a livello razionale, l’Associazione è altresì consapevole che ciò è frutto di una legge dello Stato voluta da Falcone per la lotta alla mafia, norma opportuna ed efficace che ha incentivato e favorito le collaborazioni giudiziarie, permettendo così ai collaboratori di giustizia di fornire un contributo essenziale all’accertamento della verità sulle stragi del 1992-1993». «Moralmente, da vittime, sapere della scarcerazione di un brutale assassino mafioso ci indigna – commenta il presidente dell’Associazione Luigi Dainelli – ma sappiamo bene anche che senza collaboratori non avremmo avuto a Firenze tre sentenze di condanna in tre processi per i vari organizzatori ed esecutori delle stragi 1993 tra cui la nostra di Via dei Georgofili»