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09/06/2021 06:00:00

Chi è Nino Bonafede, l’anziano boss di Marsala

Non era il capo. Ma per molti il vecchio boss Antonino Bonafede è considerato un elemento di “garanzia” per la famiglia mafiosa di Marsala.

Anziano, malato da tempo, “u zu Nino” dovrà restare agli arresti domiciliari per altri 5 anni.
Antonino Bonafede, padre dell’ex latitante Natale, quest’ultimo condannato all’ergastolo per omicidi commessi nei primi anni ’90 su ordine della Cupola allora capeggiata da Totò Riina, sta scontando, dal 2017, la pena definitiva per 416-bis in detenzione domiciliare a causa di alcune gravi patologie che lo affliggono.

Classe 1935, è rimasto sempre un passo indietro rispetto al figlio più “noto” Natale Bonafede, boss ergastolano, autore di diversi omicidi, capo mafia della famiglia di Marsala arrestato nel 2003 insieme al boss di Mazara Mangiaracina.

La famiglia di Marsala negli anni a seguire viene decimata, finiscono in carcere tutti i boss, i reggenti e i rimpiazzi della cosca. Quando esce dal carcere Nino Bonafede, nonostante l’età avanzata, riprende da dove aveva lasciato. Ma attorno a lui c’è il deserto, si allea con altri uomini d’onore per dirimere semplici controversie, per sostenere le famiglie degli affiliati in carcere. Il suo è un interregno.
Viene ri arrestato nel 2015, insieme ad altre tre persone. All’epoca la cosca mafiosa era molto litigiosa, come venne fuori dall’operazione antimafia Visir, di un paio d’anni dopo.

Bonafede è noto alle cronache di mafia da oltre 20 anni. Già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno dal 1999 al 2004 e condannato, nel 2000, in via definitiva dalla Corte di Appello di Palermo a sei anni di reclusione per associazione mafiosa, in quanto considerato «uomo d'onore» della famiglia mafiosa marsalese.


Coinvolto anche nell'operazione «Peronospera II» del maggio 2003, è stato condannato dalla Corte di Appello nel 2007 ad un anno di reclusione, «in continuazione» con la precedente condanna, per associazione di stampo mafioso, in relazione a precedenti condotte poste in essere fino al 1997, per avere avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione del racket del “pizzo”. Nel marzo 2010, è stato coinvolto nell'operazione «Golem 2», con cui fu smantellata la rete dei presunti fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro.

Le ultime indagini sulla mafia trapanese, effettuate dal ROS dei Carabinieri, hanno fatto emergere come, a seguito degli arresti dei Capi Famiglia, i fratelli Rallo Antonino e Vito Vincenzo, la reggenza vacante della Famiglia di Marsala sarebbe stata affidata, nel 2009, proprio all’anziano Uomo d’Onore Antonino Bonafede (“zio Nino”), ritenuto una garanzia anche in virtù dei precedenti rapporti di massima collaborazione con lo storico Capo Mandamento di Mazara del Vallo, Vito Gondola, con il quale venivano organizzati i summit mafiosi.


Viene arrestato nel 2015 nell’operazione The Witness.
Bonafede, tornato in libertà, secondo i magistrati della Dda avrebbe “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa lilybetana dal figlio Natale. Nel 2017 arriva la condanna definitiva a 16 anni di carcere, ma il tribunale esclude il ruolo di vertice in seno alla locale famiglia mafiosa. La pena per Bonafede è stata “complessiva”. Include, infatti, anche i 6 anni già scontati per una precedente condanna per mafia.
“Non sono mai stato affiliato a Cosa Nostra”
ha detto durante il processo Bonafede, anche se ha già scontato una condanna per associazione mafiosa. Poi, ha parzialmente smentito i due pentiti palermitani Briguglio e Pulizzi, che hanno raccontato di avere incontrato “due volte” l’anziano “uomo d’onore” marsalese, su incarico del boss Lo Piccolo, al fine di riorganizzare, secondo l’accusa, la locale cosca mafiosa. “Si, è vero – ha detto Bonafede – ho incontrato Briguglio e Pulizzi, ma una volta, non due. Sono stati loro a cercarmi e a fermarmi per strada. Mi hanno detto che li mandava Lo Piccolo per riorganizzare la famiglia, ma io ho risposto che non ero interessato. In carcere avevo conosciuto Calogero Lo Piccolo, ma poi più nessun rapporto”.

Nel 2015 il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo ha confiscato beni per oltre 4 milioni di euro a Bonafede: due aziende agricole e di allevamento, numerosi terreni coltivati a vigneti e disponibilità finanziarie.

Già a maggio del 2012, nell’ambito di un’inchiesta del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani, il Gip di Marsala aveva disposto a suo carico il sequestro di due appartamenti e di alcuni terreni agricoli, per omessa segnalazione di variazioni patrimoniali, come previsto dalla normativa antimafia.
Il provvedimento segue al sequestro eseguito dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo nel febbraio 2014, nel quale era stata riscontrata una palese sproporzione tra i beni oggetto della confisca e le disponibilità reddituali manifestate dal nucleo familiare del soggetto, tali da essere considerati derivanti da attività illecite. Peraltro, gli approfondimenti documentali avevano consentito di riscontrare alcune irregolarità nella gestione di una delle aziende agricole sottoposte alla misura cautelare e nella destinazione di alcuni terreni tenuti a vigneti, che avevano consentito al prevenuto di usufruire indebitamente dei contributi pubblici.

L’anziano capofamiglia di Marsala adesso è stato colpito da un nuovo provvedimento giudiziario che conferma la pena alternativa della detenzione domiciliare fissandone la scadenza nel 2026.