Matteo Messina Denaro era già stato condannato per le bombe del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Più recentemente, anche per le stragi del 1992, essendo stato dichiarato nell’ottobre scorso colpevole degli attentati di Capaci e via D’Amelio dalla corte d’Assise di Caltanissetta.
In quest’ultimo processo il pm Gabriele Paci aveva provato che il superlatitante di Castelvetrano era stato uno dei mandanti, ma non che avesse partecipato fisicamente all’esecuzione.
Ma un’interessante inchiesta de Il Dubbio, il quotidiano fondato da Piero Sansonetti, ha rilevato un elemento molto significativo che invece coinvolge Messina Denaro anche nella fase esecutiva di almeno una delle due stragi: quella di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
Ne scrive Damiano Aliprandi, che dedica quest’inchiesta al giudice Alfonso Giordano, presidente della corte del primo maxiprocesso, scomparso lunedì scorso all’età di 92 anni.
A tirare in Ballo il boss di Castelvetrano è lo stesso Totò Riina, in una delle sue chiacchierate con il compagno d’ora d’aria Alberto Lo Russo.
“Il Dubbio – scrive Aliprandi nell'articolo di martedì scorso – analizzando attentamente le intercettazioni di Totò Riina quando era in 41bis, ha scoperto che il ‘capo dei capi’ ha chiaramente indicato il superlatitante Messina Denaro, ‘quello della luce’, così lo definisce, tra gli esecutori della strage di via D’Amelio”.
Ecco di seguito la parte clou delle parole di Totò Riina riportate dal Dubbio:
“Minchia, cinquantasette giorni (i giorni che passano dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio, ndr). Minchia la notizia l’hanno trovata là, da dentro l’hanno sentita dire che domenica deve andare (Borsellino, ndr) da sua madre, deve venire da sua madre. Gli ho detto: allora preparati. Aspettiamolo lì. A quello della luce… anche perché… sistemati, devono essere tutte le cose pronte. Tutte, tutte, logicamente si sono fatti trovare pronti. Gli ho detto: se serve mettigli qualche cento chili in più”.
Poi Riina dice a Lo Russo che “se ti serve un posto vicino alla portineria, lo devi lavorare, lo devi cercare, ci devi ‘combattere’”.
“Esci con una macchina e ci metti quella – prosegue – E poi vai a trovarlo, vai a cercarlo,…. come quello che venne solo dall’Albania… vallo a trovare un esperto come questo”.
Ma sul seguito c’è un omissis.
E allora, “chi è quello che venne dall’Albania? - si chiede Il Dubbio - potrebbe essere l’uomo che Spatuzza non riconobbe al garage di via Villasevaglios, dove è stata imbottita la macchina di tritolo?”.
Domande legittime, che non possono che portare ad altre domande, mettendo in discussione l’ipotesi che la figura esterna a Cosa nostra, presente in quel garage, sia qualcuno dei servizi segreti.
Inoltre, dall’intercettazione, è come se Matteo Messina Denaro non fosse semplicemente uno degli esecutori, ma proprio il coordinatore. Con competenze sull’uso dell’esplosivo che si integrerebbero con quelle dell’esperto albanese. Riina racconta infatti di avergli detto “se serve mettigli qualche cento chili in più”, come se la valutazione tecnica dell’attentato spettasse a lui.
Chiaramente, il periodo delle confidenze di Riina a Lo Russo è relativamente recente, mentre i fatti risalgono a decenni prima. Nel corso del tempo, il capo dei capi avrebbe cambiato opinione sul figlio di Francesco Messina Denaro: dapprima visto con grande aspettativa e poi, dal carcere disprezzato al punto da dire che “questo signor Messina che fa il latitante, che fa questi pali eolici, i pali della luce… se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura, se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa...”.
Diceva sul serio Riina? Oppure sapeva di essere intercettato e recitava una parte?
Intanto, da queste intercettazioni analizzate da Il Dubbio, emerge la figura di un Matteo Messina Denaro interamente coinvolto anche nella strage di via D’Amelio. Come mandante e come esecutore.
E poi rimane la domanda: chi era l’esperto albanese?
Egidio Morici