Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
17/07/2021 22:00:00

Omicidio Mattarella: desecretato il verbale dell'audizione del giudice Falcone

 L'omicidio di Piersanti Mattarella "non avrebbe potuto essere consumato senza il benestare di Cosa Nostra", affermava il giudice Giovanni Falcone in un'audizione, effettuata dalla Commissione Antimafia in trasferta a Palermo il 22 giugno del 1990, e il cui verbale è stato desecretato in data odierna. "Mannoia (Francesco Marino pentito, ndr) - spiegava Falcone in quella audizione - ha fatto un esempio che mi sembra assolutamente chiaro: quando abbiamo un omicidio e non si sa esattamente che cosa sia avvenuto e perché quella persona sia stata uccisa, in seno a Cosa Nostra succede il finimondo perché ovviamente ognuno cerca di capire da dove è partito il colpo. Nel caso dell'omicidio Mattarella tutto era tranquillo".

"Nell'omicidio Mattarella vi era una concordia di fondo di tutta la commissione sull'eliminazione di questo personaggio, nel senso che non interessava a tutti più di tanto che rimanesse in vita; però nel momento più acuto della crisi, che poi sarebbe sfociata l'anno successivo in una guerra di mafia molto cruenta, ognuno aveva paura di fare il primo passo, e Stefano Bontade, per la parte che ci è stata riferita, aveva preferito stare alla finestra nel senso di disinteressarsi delle vicende di Cosa nostra per poter poi contestare dall'opposizione certe vicende all'interno dell'organizzazione. Se per l'omicidio Mattarella, e questo ci è stato ampiamente confermato da Buscetta, fossero stati utilizzati killer mafiosi, in due secondi chiunque all'interno di Cosa nostra avrebbe saputo chi avesse ordinato l'omicidio del presidente Mattarella".

Un omicidio di mafia eseguito, però, da sicari non mafiosi: era la conclusione sul delitto dell'ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella a cui era giunto il giudice Falcone. "Nell'agosto 1980, subito dopo l'omicidio del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, si reca a Londra Bruno Contrada, su incarico del Questore di Palermo del tempo, Nicolugia - raccontava ancora Falcone - Contrada mostra alla vedova Mattarella la fotografia di Salvatore Inzerillo indicandolo come l'esecutore dell'omicidio. Anche allora, come successivamente a me, la vedova Mattarella escluse categoricamente che Salvatore Inzerillo (che era coinvolto e che adesso è stato rinviato a giudizio per l'omicidio di Costa) potesse essere uno degli esecutori materiali dell'omicidio. Sul punto vi sono dichiarazioni assolutamente concordi sia di Contrada, sia dell'onorevole Sergio Mattarella, sia della vedova di Piersanti Mattarella".

"La tesi esposta nel nostro mandato di cattura, peraltro conforme ai risultati di un'analisi dei documenti da noi forniti all'ufficio dell'Alto commissario, è la seguente: sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell'omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili; sotto il profilo della compatibilità fra l'omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, è emersa una realtà interessante e inquietante", affermava Falcone. Falcone pur essendo certo della matrice mafiosa dell'omicidio Falcone riteneva che l'esecuzione materiale fosse stata delegata ad altri soggetti. "Tutti i personaggi, quelli realmente importanti e senza i quali non sarebbe potuto avvenire un omicidio mafioso di quel calibro a Palermo, nella zona di Francesco Madonia (questo non lo dimentichiamo), nessuno di questi personaggi è stato riconosciuto, ma non nel senso che non è stato riconosciuto dalla vedova Mattarella, ma nel senso che ha sicuramente escluso che questi personaggi potessero essere coinvolti nell'esecuzione dell'omicidio", aggiunge.

Il magistrato, che sarà assassinato a Capaci nel 1992, ritiene dunque che la mafia si sia rivolta a killer esterni per il delitto e sembra ritenere attendibili le parole di Cristiano Fioravanti che dell'assassinio Mattarella accusa il fratello, il terrorista nero Valerio Fioravanti, poi processato e assolto per il delitto dopo le dichiarazioni del pentito Buscetta che ne mise in dubbio la responsabilità. "Questo è un dato di fatto assolutamente incontrovertibile. Per converso abbiamo dei riconoscimenti quasi certi nei confronti di questi imputati (Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini entrambi scagionati ndr) - conclude - Ci troviamo di fronte a delle modalità operandi che sono molto simili, in alcuni casi addirittura identiche, a quelle di questi personaggi". Parole che smentiscono quanto detto a gennaio dallo stesso Fioravanti che, in una intervista, ha sostenuto che Falcone credeva nella sua innocenza e che aveva dovuto procedere contro di lui per non meglio precisate pressioni.

Nel corso dell'audizione all'Antimafia Falcone racconta anche di un tentativo di depistaggio delle indagini sul delitto Mattarella da parte di un confidente dei carabinieri, Benedetto Galati. Riguardo al delitto di Mattarella: "In effetti, anch'io, come tanti altri colleghi della Procura e dell'Ufficio istruzione, sentivo il compianto consigliere Rocco Chinnici parlare di una sua particolare ipotesi di lavoro (che comunque non mi aveva mai esplicitato), secondo cui aveva compreso tutto ciò che stava accadendo". "Devo dire che si trattava di un'ipotesi tutt'altro che peregrina - aveva aggiunto - Si sarebbe trattato, cioè, di omicidi 'eccellenti' che sono in un certo modo apparentemente scaglionati nel tempo, ma che in realtà si inseriscono in vicende di dinamiche anche interne alla mafia e che possono restringersi in un ben individuato arco di tempo che va dal 1978 (omicidio di Michele Reina) al 3 settembre 1982 (omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa), anche se il delitto Dalla Chiesa sarebbe più opportuno, alla luce delle nostre indagini, tenerlo fuori da questa dinamica, poiché l'omicidio importante, l'omicidio di spicco, l'omicidio che si inquadra in un determinato contesto dovrebbe essere, secondo me, quello di Pio La Torre".