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23/07/2021 06:00:00

Antonio D'Alì: politico, imputato e condannato in un processo infinito...

Dopo oltre dieci anni di procedimento giudiziario, mercoledì scorso la Corte d'Appello di Palermo ha condannato a sei anni di reclusione l'ex senatore di Forza Italia e sottosegretario al ministero dell'Interno Antonio D'Alì. 

Per D'Alì la Procura generale, aveva chiesto una condanna a 7 anni e 4 mesi. Secondo l'accusa, il politico trapanese nel corso della sua attività pubblica ha "mostrato di essere a disposizione dell'associazione mafiosa cosa nostra e di agire nell'interesse dei capi storici come il latitante Matteo Messina Denaro e Salvatore Riina" e "con il suo operato ha consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra - ha detto il pg durante il suo intervento - mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato".

La condanna della Corte d'Apppello dopo l'annullamento della Cassazione dell'obbligo di dimora - La decisione dei giudici della Corte d'Appello stravolge l'esito della sentenza di assoluzione di primo grado, a qualche settimana, invece, dalla decisione della Corte di Cassazione  (17 giugno scorso) che ha confermato l'annullamento dell'obbligo di dimora nei confronti di D'Alì. Il provvedimento riguarda la misura di prevenzione, della Dda di Palermo, mentre D'Alì era in corso per la poltrona di Sindaco a Trapani. La misura fu poi annullata dalla Corte d'appello. In seguito all'annullamento, la procura generale di Palermo aveva presentato ricorso, chiedendo che il politico originario di Trapani fosse nuovamente dichiarato 'socialmente pericoloso'. I giudici ermellini però hanno dichiarato inammissibile il ricorso.

La carriera politica - Alla fine del 1993 è uno dei fondatori di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Dal 1994 fino alla legislatura che si è chiusa nel 2018, D’Alì è stato sempre senatore di Forza Italia e sottosegretario al ministero del Governo Berlusconi dal 2001 al 2006. Rieletto al Senato nell'aprile 2006 per la Casa delle Libertà, è stato eletto Presidente della Provincia di Trapani nel turno elettorale del giugno 2006, con il 55,6% dei voti. Il mandato amministrativo sarebbe scaduto nel 2011, ma D'Alì ha rassegnato, dopo poco più di un anno e mezzo dalle elezioni, le dimissioni per concorrere alle elezioni politiche anticipate del 13 aprile 2008, nelle quali è risultato nuovamente eletto al Senato con il PdL. Il 22 maggio 2008 è stato eletto Presidente della Commissione Ambiente del Senato. Il 27 febbraio 2012 è coordinatore provinciale del PdL. Alle elezioni politiche del 2013 è confermato al Senato nella lista PdL in regione Sicilia. Dopo una parentesi con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, il 13 ottobre 2014 ritorna in Forza Italia. Nel maggio 2017 si candida a sindaco di Trapani, e alle elezioni dell'11 giugno giunge terzo, non raggiungendo il ballottaggio. Proprio nel corso di quella campagna elettorale la Procura antimafia di Palermo notificò la richiesta di applicazione per cinque anni dell’obbligo di dimora. Dopo 24 anni di presenza ininterrotta in Parlamento, nel 2018 non si è ricandidato alle elezioni politiche.

L’accusa storica, concorso esterno in associazione mafiosa -  E' sempre la stessa dal 2011, da quando è iniziato il primo processo a suo carico. Sia in primo che in secondo grado il senatore trapanese, è stato prescritto per una parte per i fatti fino al 1994 e assolto per il periodo successivo, che arriva fino al 2011. La Corte di Cassazione nel 2018 accogliendo il ricorso del pg Nico Gozzo ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo la sentenza di secondo grado e si è così ricelebrato il processo, che dopo una serie infinità di rinvii è arrivato alla sentenza di condanna dei giorni scorsi. 

Linares e Sodano - Sul trasferimento di Giuseppe Linares a capo della Dia di Napoli si basa una delle accuse al senatore D’Alì. Secondo l’accusa fu il senatore, allora sottosegretario all’Interno, a chiedere il trasferimento di Linares.  In quest’ottica si inserisce anche il caso del prefetto Fulvio Sodano, trasferito da Trapani nel 2003 dopo che si oppose al tentativo di Cosa nostra di riappropriarsi della Calcestruzzi Ericina già confiscata. Secondo l’accusa in questa storia ci fu l’intervento di D’Alì. 

Francesco e Matteo Messina Denaro - Nella vicenda giudiziaria del senatore D'Alì, come punto centrale, in tutti questi anni di indagini e di processi, ci sono i rapporti della famiglia D’Alì con i Messina Denaro. Francesco Messina Denaro, uomo di fiducia dei corleonesi e padre del super latitante Matteo, è stato assodato, era campiere nei terreni di D’Alì, in contrada Zangara a Castelvetrano. Uno dei terreni sarebbe stato venduto fittiziamente da D’Alì a un prestanome di Messina Denaro e Totò Riina, il gioielliere di Castelvetrano Francesco Geraci. A Geraci, poi pentito, D’Alì avrebbe restituito i 300 milioni di lire della vendita. Su questi fatti è caduta la prescrizione, e anche su questi fatti la difesa del senatore ha respinto le accuse sostenendo che in realtà la vendita doveva avvenire in favore di un’altra persona, il partannese Alfonso Passanante, anche lui implicato in fatti di mafia, poi non formalizzata. Fatti datati poco prima che D’Alì si candidasse per la prima volta al Senato, nel 1994, con Forza Italia.

Operazione "Pionica" e appalti pubblici - Anche l'ex senatore D’Alì compare nel blitz antimafia del 2018, operazione "Pionica", dove Antonio D'Alì è stato fotografato assieme a esponenti di Cosa nostra, tra i quali il boss mafioso Girolamo Scandariato. Altro aspetto che riguarda le indagini su D’Alì è quello riguardante gli appalti pubblici, con i legami che, sempre secondo i giudici, avrebbe avuto con il regista degli appalti pilotati, il valdericino Tommaso Coppola, e i rapporti del politico con gli imprenditori Morici che avrebbero preso l’appalto del 2005 per i lavori al porto di Trapani per la Coppa America di vela.

Processo infinito - Della vicenda giudiziaria dell’ex senatore trapanese, in questo caso chiusa con la condanna, bisogna ricordare come la sentenza sia stata rinviata un'inifinità di volte. Per chiunque sia l’imputato, in questo caso D’Alì, non è ammissibile e non è normale questo protrarsi all’infinito dei processi, che continuano a lasciare il cittadino in un limbo, nell’attesa di una sentenza che potrebbe cambiargli la vita e che nel frattempo lo logora prima. La certezza della pena e allo stesso tempo la “velocità” della giustizia dovrebbero essere i principi cardini su cui si dovrebbe fondare il nostro ordinamento giudiziario, ma il processo al senatore D'Alì, come in tanti altri casi, è, invece, l'esatto contrario di come dovrebbe essere.