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13/09/2021 06:00:00

Nuovo depistaggio per la Strage di Via D'Amelio, il pentito Avola indagato per calunnia

 Ha detto di aver preso parte alla strage di Via D’Amelio e di essere vestito da poliziotto, di aver visto Paolo Borsellino scendere dall’auto, di aver avvisato Graviano e di essersi allontanato con un borsone con la scritta polizia.

Tutte dichiarazione del boss e pentito catanese Maurizio Avola che sono state sconfessate da Antonino Vullo, poliziotto della scorta di Borsellino ed unico superstite della Strage di Via D’Amelio. Vullo ai magistrati di Caltanissetta ha detto di non aver mai visto nessuno in strada, tantomeno un poliziotto con una borsa in mano e con la scritta polizia.

Per i magistrati di Caltanissetta, l’ex boss Avola non racconta la verità. Lui che aveva cominciato a collaborare con la giustizia nel 1994, ma tre anni dopo venne cacciato via perché autore di rapine, ha scritto la sua verità in un libro scritto con Michele Santoro e con la collaborazione di Guido Ruotolo, e oggi si trova indagato per calunnia.

Tra le altre dichiarazioni di Avola c’è anche quella in cui dice di avere partecipato al caricamento della Fiat 126 in un garage vicino alla Fiera. Un box di cui aveva parlato - nel 2008 - il pentito Gaspare Spatuzza svelando il grande depistaggio del falso pentito Scarantino. Avola, però, piuttosto che portare i magistrati e gli investigatori della Dia in via Villasevaglios 17, li ha portati in un garage sito in via Gaspare Ciprì, a Brancaccio: un altro box di cui aveva parlato sempre Spatuzza indicandolo, però, come luogo in cui venne nascosta l’auto dopo il furto. Per la Dia nissena non ci sono dubbi: “Avola parla della luce fioca e delle dimensioni del box solo perché ha visto i filmati sul web, che riprendono il garage di via Ciprì e non quello di via Villasevaglios”. In rete, infatti, ci sono solo le immagini del primo sopralluogo fatto nel 2018 da Spatuzza.

Altra dichiarazione ritenuta falsa di Avola è quella in cui sostiene di essere stato a Palermo dal 17 luglio 1992, ma il giorno prima della strage - alle 10 del mattino - venne fermato a Catania da una pattuglia della Polizia. “Al momento del controllo, in via De Caro, era a bordo di una Lancia Delta insieme con un’altra persona, aveva il braccio sinistro ingessato”, riporta la relazione di servizio annotata da un agente e ritrovata dalla Dia. L’ex killer si è giustificare dicendo che si trattava di un falso gesso. Un alibi, purtroppo per lui, che non è riuscito a raggirare gli investigatori, i quali avevano letto un’annotazione nel registro del pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro che dava atto di come Avola si fosse presentato in ospedale alle 17:05 del 7 luglio 1992 per una “frattura all’avambraccio sinistro” per cui venne disposta “l’immobilizzazione, con riduzione del gesso”. L’ex killer dei Santapaola, inoltre, tirò in ballo anche Aldo Ercolano: altro boss legato ai Santapaola. Disse di essersi recato a Palermo con lo stesso, ma anche questa circostanza è poco credibile in quanto all’epoca il capomafia era sorvegliato speciale, dunque sottoposto a frequenti controlli.

Le affermazioni di Avola non hanno convinto per nulla i magistrati e l’ex boss ora è indagato per calunnia. Sono tremila le pagine di indagine contro Avola che il 13 agosto il procuratore reggente di Caltanissetta Gabriele Paci (oggi procuratore a Trapani) e il sostituto Maurizio Bonaccorso hanno depositato nel processo che vede imputati tre poliziotti per il depistaggio su via d’Amelio.

A questo punto ci si chiede, perché Avola si è inventato tutto? Per quale motivo ha messo su questo castello finto? Che vantaggi ne poteva avere? Come mai ha deciso di scrivere un libro grazie all’aiuto addirittura di Michele Santoro? C’è qualcuno e chi avrebbe suggerito ad Avola cosa dire? E come mai a distanza di quasi 30 anni?