Dopo il nostro viaggio nella baraccopoli dell’ex cementificio, in ricostruzione dopo l’incendio che ha causato la morte di Omar, siamo andati a Fontane d’Oro, distante poco più di un chilometro in linea d’aria. E’ un ex oleificio confiscato alla mafia. In quelli che erano gli uffici, oggi c’è uno Sprar dove il ministero dell’Interno accoglie una decina di rifugiati.
L’ampio parcheggio intorno ha invece due anime. Diverse, opposte. Separate da una recinzione.
Da una parte c’è l’area in cui i volontari della Croce Rossa hanno quasi finito di montare i moduli abitativi forniti dalla Regione Siciliana. Dall’altra c’è un’altra baraccopoli, nata dallo spostamento di una parte dei braccianti dal cementificio.
Certo, si è arrivati tardi. I moduli sarebbero dovuti essere collocati in tutto il parcheggio (fatta salva la parte davanti lo Sprar, per garantirne l’accesso), già molto tempo prima che scoppiasse quell’incendio al cementificio. Ma si sa, i tempi istituzionali sono lunghi, cadenzati da innumerevoli tavoli tecnici, riunioni, pareri, bandi… E mentre la burocrazia arranca lentamente, per fornire un aiuto “a norma”, la vita accelera. Ecco perché, in un battibaleno, alcuni hanno ricostruito dalle ceneri e altri hanno deciso di accamparsi altrove. E questo altrove è il parcheggio di Fontane d’oro. O meglio, come si diceva, una sua parte: quella più grande.
Non è rimasto altro da fare che montare i moduli della Regione nella porzione di parcheggio (più o meno un terzo) disponibile. Sarebbe stato assurdo sgomberarli con la forza, per poi invitarli nelle nuove casette.
L’idea, istituzionale, una volta terminato il montaggio, è quella di accogliere i braccianti dell’accampamento informale (chiamiamolo così). Una sorta di trasferimento. E via via che si libera lo spazio, mettere gli altri moduli anche lì.
C’è però un piccolo problema: dall’altra parte non ci sono solo tende, c’è un mondo. Un mondo fatto anche di ristoranti, bar, una macelleria, perfino una pasticceria.
Ovvio, niente è a norma, dai fuochi per cucinare, ai tavoli in cui si cena. Strutture fatte di legno e teli di plastica, che però difficilmente smonteranno: chi bada al ristorante o si occupa della cucina non va a raccogliere le olive, perché il suo lavoro è nel campo.
Con ogni probabilità, i moduli abitativi potranno bastare per meno di cento persone.
Difficile dire esattamente quanti siano al momento nelle tende, ma l'impressione è che la maggioranza, rimarrà nella baraccopoli, visto che sarà impensabile montare i moduli abitativi in mezzo ai fuochi per le cucine e alle macellerie improvvisate.
Anche a voler pensare, con una buona dose di audacia, che si dovessero convincere a smontare tutto, prima della posa dei moduli occorrerebbe una seria bonifica. Chi la farebbe? Quante volte dovrebbe riunirsi il tavolo tecnico? Quanto durerebbe l’interlocuzione tra la Prefettura e gli uffici della Regione Siciliana? Quante campagne olearie si susseguirebbero?
Forse, l’unico risultato che oggi si può ottenere è che, dopo il trasferimento dei primi migranti (difficile dire anche con quale criterio), si possa convincere gli altri a spostare le loro tende lontano dai punti in cui ci sono i fuochi per cucinare. L’emergenza ha diverse declinazioni. Quella più importante è evitare che succeda un’altra tragedia. E’ successa quest’anno, con la morte di Omar; è successa nel 2013, con quella di Ousmane.
Oggi, tra la ricostruzione del campo nell’ex cementificio e l’accampamento a Fontane d’Oro, la vita scorre veloce, anche se non a norma.
Le istituzioni, proprio perché a norma, vanno lente. E tra riunioni e burocrazia, rischiano sempre di non arrivare in tempo.
Egidio Morici