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15/02/2022 06:00:00

Chi è Giuseppe Guttadauro, il boss-medico imparentato con Matteo Messina Denaro

 All’arresto di Giuseppe Guttadauro e del figlio Mario Carlo, 73 anni il primo, 44 il secondo, entrambi accusati di far parte di Cosa nostra, i carabinieri del Ros ci sono arrivati dopo aver documentato la continua e incessante attività criminale del boss, ex primario del Civico di Palermo e coinvolto in passato nell’inchiesta sulle talpe alla Dda in cui fu indagato l’ex presidente della Regione Totò Cuffaro. I due sono accusati di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Palermo-Roccella, inserita nel mandamento di Brancaccio-Ciaculli.

L’indagine scaturita dalle ricerche di Matteo Messina Denaro - L’operazione che domenica ha portato all’arresto del “dottore”, rientrato dal Marocco dove ha un'impresa ittica, nasce dalle ricerche del boss latitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, coordinate dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido. Il fratello di Guttadauro, Filippo, è infatti cognato del capomafia di Castelvetrano. Questa parentela importante, è testimoniata da una conversazione in cui il figlio di Giuseppe Guttadauro, Mario Carlo, si mostra consapevole di ciò che comporta quella parentela. «Pensi che ti controllano?», gli chiede un amico. E lui risponde: «Ma certo, ho il parente del mio parente che è il più importante latitante che c'è. Il secondo del mondo, il più importante che c'è in Italia». Il riferimento è proprio a Matteo Messina Denaro.

Chi è Giuseppe Guttadauro - Medico chirurgo presso l'Ospedale Civico di Palermo, nel 1984 venne arrestato la prima volta per associazione mafiosa a seguito delle accuse dei collaboratori di giustizia Vincenzo Sinagra e Salvatore Contorno che lo indicarono come fiancheggiatore del boss Filippo Marchese; al Maxiprocesso di Palermo ebbe sei anni e sei mesi di reclusione. Arrestato nuovamente nel 1994 nell'ambito dell'operazione "Golden Market", scaturita dalle dichiarazioni di Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese e Giovanni Drago, venne condannato a tre anni e sei mesi al processo.

Capo mandamento di Brancaccio  - Divenne il capo del mandamento di Brancaccio dopo l'arresto e la conseguente carcerazione dei capimafia Giuseppe Graviano e Filippo Graviano, di Antonino Mangano, di Gaspare Spatuzza e di altri. Guttadauro fu arrestato nel novembre del 2002; la moglie, Gisella Greco e un figlio furono arrestati il 6 dicembre del 2002 nel corso dell'operazione antimafia detta "Ghiaccio" durante la quale lo stesso Guttadauro ricevette un ulteriore mandato di arresto. Sua moglie e suo figlio continuarono presumibilmente a portare avanti affari illeciti nonostante la sua assenza e agirono come canale per i suoi messaggi agli altri boss mafiosi fuori dal carcere.

Le talpe alla Dda e il caso Cuffaro - Nell’inchiesta sulle talpe alla Dda i Carabinieri del ROS, nel corso di intercettazioni ambientali all'interno della casa di Guttadauro, registrarono conversazioni tra quest'ultimo e Domenico di Miceli, assessore alla sanità nella città di Palermo.. Guttadauro apprese la presenza di cimici all'interno della sua abitazione dal medico Salvatore Aragona, che a sua volta ottenne l'informazione da Domenico Miceli, a cui l'aveva riferita il presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro. Prima che Guttadauro scoprisse le cimici, fu registrato mentre descriveva come la mafia avesse finanziato la campagna elettorale di Cuffaro nel 2001. Per la vicenda legata a Cuffaro, Giuseppe Guttadauro venne condannato a 13 anni e 4 mesi di carcere.

Il traffico di droga – Arrestato già il 22 maggio di vent’anni fa nell’operazione Ghiaccio, Guttadauro era tornato in libertà nel marzo del 2012 ed era andato a vivere a Roma. Secondo le accuse, però, aveva continuato a mantenere i contatti con i clan attraverso il figlio Mario Carlo, che avrebbe fatto da trait d’union con gli altri indagati. Nel corso dell’indagine è stato tra l’altro documentato l’intervento di Guttadauro per risolvere i contrasti che erano sorti a Palermo sull’esecuzione di lavori da realizzare in un’importante struttura industriale nella zona di Brancaccio. Le indagini hanno svelato anche il ruolo di Guttadauro nel traffico di stupefacenti. Il medico boss, infatti, aveva aperto un canale per l’acquisito della cocaina con il Sud America e con un albanese per il rifornimento di hashish. L’organizzazione avrebbe potuto contare su un assistente di volo, in rapporti con Guttadauro, che avrebbe dovuto trasportare 300mila euro in Brasile nel momento in cui il carico di droga dal Sud America fosse arrivato in Olanda. Nelle intercettazioni, infatti, gli indagati discutono di uno “scarico a Rotterdam”. E dicevano: “Questi salgono 100 chili al mese. Allo scarico funziona così. Ci sono i doganieri, che prendono il 25 per cento”.

Le lezioni di “evoluzione” al figlio – Dalle intercettazioni agli atti dell’inchiesta emerge il giudizio critico di Guttadauro verso le nuove generazioni di mafiosi, innescate dalla notizia della collaborazione con la giustizia di Francesco Colletti. Guttadauro, intercettato, si diceva preoccupato per le rivelazioni di un altro pentito, Filippo Bisconti, e parlava dell’esigenza, rappresentata apertamente al figlio, di “evolversi” pur rimanendo ancorati ai principi di Cosa nostra. “Ti devi evolvere, hai capito? Il problema è rimanere con quella testa, ma l’evoluzione…”, diceva.. Il dottore dispensava anche consigli ai giovani boss: “Non puoi scendere a livello dei picciutteddi – diceva il maestro all’allievo – non va bene. Devi metterti a un livello diverso”.

L’intermediazione bancaria e la punizione all’ex ministro - Secondo i pm il boss Giuseppe Guttadauro a Roma era inserito nell’ambiente dei salotti capitolini. Era il 2018 e il «dottore», com’è noto il boss, sognava una sostanziosa remunerazione per la sua mediazione in una contesa: fra l’aristocratica Beatrice Sciarra moglie di Giuseppe Mennini, chirurgo, già docente alla «Sapienza», e l’istituto bancario Unicredit. Sedici milioni di euro che il padrino, con il proprio intervento, avrebbe dovuto sbloccare in favore della nobildonna. Anche a costo di punire l’ex ministro della Funzione pubblica Baccini, reo di aver tentato di pilotare la vertenza Unicredit contro la Sciarra attraverso il magistrato del Consiglio di Stato Eugenio Mele. Nessun dubbio, scrivono i magistrati, che Guttadauro «fosse divenuto il referente in certi ambienti della “Roma bene” per la risoluzione, con metodo mafioso, di loro private controversie». La storia, annota la gip Rosina Carini, “restituisce uno spaccato davvero sconsolante ed allarmante circa il pervicace potere mafioso riconosciuto a soggetti quali il predetto indagato”.