Calcara falso pentito. Lo aveva scritto sulla testata “La Valle dei Templi”, il giornalista agrigentino
Gian Joseph Morici. L’ex collaboratore di giustizia lo ha querelato per diffamazione e adesso, per stabilire se quanto detto da Morici sia vero oppure no, il giudice sta ascoltando diversi testimoni.
Tra questi, in una udienza di qualche giorno fa, c’era anche il magistrato Massimo Russo.
Quest’ultimo ha dichiarato che “Calcara non ha niente a che vedere con la mafia, non era un uomo d’onore”, tant’è che “forniva organigrammi mafiosi non esatti”.
Lo stesso magistrato in passato lo aveva rinviato a giudizio per il reato di auto calunnia: si era accusato di far parte di cosa nostra. Non ci fu però nessuna condanna, perché intervenne la prescrizione.
E, sempre Russo, al processo “Borsellino Quater”, aveva anche dichiarato che “Calcara non parlò mai di Matteo Messina Denaro” e che pentiti di mafia quali Brusca e Sinacori non lo hanno mai riconosciuto come mafioso. Sì, perché è difficile essere un pentito se non si è mai stato un mafioso.
Il magistrato, nel corso dell’udienza, ha dichiarato anche che “Calcara adesso dovrebbe pentirsi e raccontarci davvero come stanno certe cose. Era chiaro che la farina non era del suo sacco, sarebbe interessante sapere chi metteva quella farina”.
Diventa evidente a questo punto che la vicenda della diffamazione nei confronti del giornalista Morici, stia avendo per Calcara un imprevisto effetto collaterale.
Soprattutto alla luce delle affermazioni di Gabriele Paci, procuratore aggiunto di Caltanissetta e pm al Borsellino quater, che nel recente passato lo aveva definito “inquinatore di pozzi e pentito eterodiretto”.
Un effetto collaterale che potrebbe riguardare qualcun altro, perché la domanda diventerebbe “Chi?”, chi lo avrebbe diretto?
Massimo Russo ha parlato più volte di Vincenzo Calcara.
Riportiamo di seguito alcune sue dichiarazioni tratte da una tesi di Angela Buscaino per un master in giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dal titolo Nome in codice Svetonio. Nella terra di Messina Denaro, le figure di Vincenzo Calcara e Antonio Vaccarino:
“Nel 1993, Balduccio Di Maggio, mafioso appartenente al mandamento di Palermo, per la prima volta parla di un personaggio importante dell’organizzazione mafiosa trapanese: Matteo Messina Denaro. Come mai Calcara non aveva mai fatto il suo nome? Dopo essersi autoaccusato di essere un componente di Cosa Nostra, come poteva non parlare di un soggetto che già sulla base delle dichiarazioni di Di Maggio aveva una sua caratura criminale? È proprio in quel momento che comincio a mettere in discussione il contenuto delle sue dichiarazioni. Il dubbio sull’inattendibilità di Calcara comincia a diventare certezza quando mafiosi quali Patti, Geraci e Sinacori, diventano collaboratori di giustizia. Tutti e tre dichiarano con assoluta fermezza di non conoscere Calcara e di non averlo mai sentito nominare. Dopo aver acquisito queste dichiarazioni, non ritenevo più che Calcara fosse il mafioso che lui proclamava di essere. Questo dato è stato successivamente ribadito anche da diverse sentenze, tra cui quella sull’omicidio del giudice Montalto e del giornalista Rostagno, dove si evidenziava la mancanza di conoscenza di Calcara sull’organizzazione di Cosa Nostra trapanese, sulle famiglie, sugli appartenenti e infine sulla stessa suddivisione in mandamenti”.
Egidio Morici