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12/03/2022 06:00:00

Trent'anni fa l'omicidio di Salvo Lima. E' l'inizio della stagione delle stragi di mafia

Trent’anni fa veniva ucciso a Palermo Salvo Lima, il referente della corrente andreottiana della DC in Sicilia.
E fu l’inizio della stagione del terrore di Cosa Nostra. Un omicidio ordinato da Totò Riina, che così fece pagare a Lima il fatto di non aver saputo aggiustare il maxiprocesso.

Lima immaginava di essere in cima alla lista nera di Cosa nostra quel 12 marzo del 1992.
Dopo essere uscito dalla sua villa a Mondello per recarsi all'hotel Palace a organizzare un convegno in cui era atteso proprio Giulio Andreotti, che di Lima era molto amico, ma reagì freddamente all’omicidio.
Lima era a bordo di una Opel Vectra guidata da un docente universitario, Alfredo Li Vecchi, con un suo collaboratore e assessore provinciale, Nando Liggio. Avevano fatto poca strada quando un commando con alla testa due uomini in motocicletta sparò alcuni colpi di arma da fuoco contro la vettura bloccandola.
Lima scese dall'auto di corsa cercando di mettersi in salvo, ma fu subito raggiunto dai killer e ucciso con tre colpi di pistola.

 

 

La sua condanna fu il maxiprocesso, anche se non era tra gli imputati. Lima infatti si attivò per modificare in Cassazione la sentenza del Maxiprocesso alla mafia che condannava molti boss all’ergastolo. Tra cui Riina, Provenzano e i vertici della cupola. Il 30 gennaio 1992 la Cassazione conferma gli ergastoli del Maxiprocesso. E’ la sentenza. Quella che certifica, anche nella storia giudiziaria del nostro Paese, l’esistenza di cosa nostra. Quella che conferma la validità delle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. E’ una sentenza per il luogotenente di Andreotti in Sicilia. Un modo per cosa nostra per lanciare un avvertimento anche ad Andreotti, che già lavorava alla presidenza della Repubblica.

 


Un legame stretto, come suggerisce la storia, come riferiscono i pentiti, tra Lima e la mafia, che si rompeva sotto i colpi di pistola di Mondello. Un legame che durava da anni, con Lima che fu tra i precursori della formula mafia-politica-appalti.
E’ sua e di Vito Ciancimino la responsabilità di una delle vicende più devastanti per la città di Palermo. E’ quel “sacco di Palermo” che negli anni sessanta stravolse, in una notte, la fisionomia della città.

Nel 1958, Lima fu eletto sindaco di Palermo e Vito Ciancimino gli subentrò nella carica di assessore ai lavori pubblici. In quel periodo va in scena il sacco di Palermo, la più grande speculazione edilizia mai vista in città. 4.000 licenze edilizie rilasciate, di cui 1.600 figurarono intestate a tre prestanome, che non avevano nulla a che fare con l'edilizia. Imprese legate a cosa nostra che stravolsero Palermo per sempre.


Mafia-politica-appalti. Un sistema che andò avanti nel tempo e che riuscì a garantire a Salvo Lima un pacchetto enorme di voti in Sicilia riconducibili al potere mafioso. Voti che su, a Roma, Andreotti non disdegnava. Ma negli anni ottanta arriva il pool antimafia, arrivano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che mettono le mani negli affari di cosa nostra, scoperchiano le attività illecite, i fiumi di soldi. Li aiuta Tommaso Buscetta ad unire i puntini. Cosa nostra prova ad aggiustare le cose, crede che Lima possa sistemare il maxiprocesso.


Il 12 marzo di 30 anni fa, dopo l’omicidio di Salvo Lima Giovanni Falcone dice: «Da questo momento, in Italia, può succedere di tutto». Cosa nostra aveva dichiarato guerra, Falcone l’aveva capito.