Che ancora ci fosse qualcosa da scoprire nella sua lunga, e truffaldina, carriera da amministratore giudiziario si era intuito già qualche anno fa, quando Maurizio Lipani venne arrestato e gli vennero sequestrati beni per oltre 1,2 milioni di euro. Nei giorni scorsi per Lipani e la moglie, sua complice spesso ignara, è scattato un altro sequestro di beni per 600 mila euro circa.
E’ quanto Lipani avrebbe tolto alle aziende sequestrate e confiscate alla mafia che gestiva in amministrazione giudiziaria. Soldi che trasferiva dai conti delle aziende, la maggior parte in provincia di Trapani, ai suoi conti. Servivano per ripianare i debiti del suo studio, ma soprattutto per pagare acconti per comprare appartamenti di pregio e studi.
Già destinatario di due misure cautelari di sequestro e confisca di secondo grado, attuati sul patrimonio personale e del suo nucleo familiare, Lipani è già stato condannato a 5 anni e 4 mesi. Lui e la moglie si erano appropriati di beni di pertinenza della amministrazione giudiziaria che lo stesso Lipani svolgeva su incarico della sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani.
Gli investigatori parlano di un consolidato “sistema” in base al quale il commercialista operava numerosissimi prelievi di contante e bonifici dai conti delle società di cui era amministratore, alcuni dei quali giustificati come pagamento di fatture emesse dalla moglie commercialista – Maria Teresa Leuci – anche se mai autorizzate da parte del giudice delegato.
Non solo Lipani avrebbe sottratto indebitamente somme dai conti delle aziende sequestrate, ma la sua inerzia nella gestione avrebbe consentito ai mafiosi di continuare a gestire le aziende.
Come nel caso della azienda sequestrata a Epifanio Agate, figlio del boss capo mandamento di Mazara Mariano Agate. Agate subìto il sequestro di alcune aziende operanti nel settore del commercio ittico, "a fronte dell'inerzia di Lipani, avrebbe continuato a occuparsi della gestione delle stesse, contattando clienti e fornitori e soprattutto riscuotendo i crediti pendenti, vanificando con ciò gli effetti pratici e simbolici del sequestro antimafia".
Ora per l’ex amministratore giudiziario è arrivato un nuovo sequestro di beni che riguarda una società immobiliare e un appartamento di pregio costituito da 12 vani, per un valore complessivo stimato di oltre 600 mila euro.
In particolare lo schema era il solito: prelevava denaro sui conti correnti delle società che gli erano state affidate - dopo essere state sottratte al tessuto criminale - accreditandole in favore della consorte, Maria Teresa Leuci, colpita da analogo provvedimento restrittivo di divieto d’esercizio dell’attività professionale.
Alcuni esempi.
Tra ottobre e novembre 2018 Lipani preleva 37.300 euro dai conti della Glocal Sea Fresh, l’azienda sequestrata a Epifanio Agate, e li accredita sul suo conto corrente. Il tutto senza alcuna autorizzazione del giudice.
Dal 2013 in poi vengono sottratti 317.980 euro dalla Moceri Olive Società Agricola, sequestrata a Antonio Moceri e Antonino Tancredi. Lipani ne è amministratore giudiziario e fino a dopo la definitiva confisca preleva sistematicamente dei soldi o fa bonifici in proprio favore. Alla Mocceri Antonino & C. Srl Lipani ha sottratto senza autorizzazione 45.741 euro, alcuni di questi soldi (circa 10 mila euro) smistati in favore di altri professionisti la cui nomina non era stata mai autorizzata. Alla MG Costruzioni, sequestrata a Lorenzo Cimarosa (primo collaborante della famiglia Messina Denaro), sono state sottratte somme per 56 mila euro. Altri 36.500 euro sottratti all’amministrazione dei beni sequestrati nei confronti di Vincenzo Pipitone.
Alcune operazioni effettuate da Lipani lo hanno portato all’accusa, e poi alla condanna, di autoriciclaggio. Come la vicenda dell’acquisto di uno studio di commercialista con sede a Vittuone, in provincia di Milano. Il prezzo dello studio è di 320 mila euro, di cui Lipani ne pagò solo una parte, ma nell’attesa di concludere l’operazione Lipani, siamo nel novembre 2018, avrebbe assunto la gestione e il possesso dello studio. Lipani inizia a pagare lo studio con i soldi prelevati dalle aziende che gestiva. Come i 4 mila euro bonificati lo stesso giorno in cui Lipani effettuava in suo favore un bonifico proveniente dai beni sequestrati a Lorenzo Altadonna, o i mille euro versati lo stesso giorno in cui si accredita sul suo conto somme dalla Amadeus Spa.
Ma un’altra operazione di riciclaggio viene fuori dalle indagini. E’ quella che riguarda l’acquisto di un appartamento di pregio a Palermo, in via Gioacchino Di Marzo, che costa ben 645 mila euro. Il tutto veniva fatto a nome della moglie di Lipani, Maria Teresa Leuci. Con l’immobile che verrà poi intestato alla Pura Pasion Srl, società che i coniugi creano dando delle quote anche ai figli.
Un’operazione, quella dell’acquisto dell’appartamento, che per gli inquirenti serve a riciclare le somme sottratte alle aziende che Lipani stava amministrando. D’altronde anche nelle precedenti indagini si parlava di “bella vita”, con barche e altri lussi, grazie ai soldi tolti alle aziende confiscate e sequestrate alla mafia. Aziende che un amministratore giudiziario dovrebbe gestire e mantenere in salute, se non potenziarle, per reimmetterle nel circuito legale a pieno regime.
Ma Lipani si era fatto prendere troppo la mano…