Sembra non voler volgere al termine il processo per diffamazione sui social, tentata violenza privata e minacce aggravate dal metodo mafioso a carico di Salvatore e Gabriele Giuliano ai danni del giornalista Paolo Borrometi. Il collegio presieduto dalla dott.ssa Carla Adriana Frau del Tribunale di Siracusa - sezione penale ha rinviato l’udienza al 30 maggio prossimo perché ha ritenuto sussistenti delle ragioni di astensione e ha rimesso la decisione al Presidente della sezione. Tutto nasce dal fatto che lo stesso collegio aveva già deciso nel processo denominato “Araba Fenice” che ha come principale imputazione la sussistenza del clan Giuliano nel medesimo periodo storico in cui sono contestati i reati nei confronti di Borrometi (2016) e dal momento in cui, in questo procedimento, sussiste l’aggravante di favorire il clan Giuliano.
Dall’inizio del processo non sono mancati i colpi di scena che TP24 ha seguito passo dopo passo e che, anche in questa udienza, hanno fatto emergere una realtà un po' diversa rispetto a quella riportata dal giornalista, con la cancellazione di commenti e una manipolazione cronologica degli scritti dei Giuliano che avevano portato alle loro imputazioni.
I FATTI
Il 22 agosto 2016 Paolo Borrometi pubblicava su laspia.it, testata on line da lui diretta, l’articolo: “Da Noto a Rosolini, passando per Avola e Pachino: viaggio nel ‘regno’ dei Trigila (nomi e foto)”, provocando le reazioni su Facebook di Salvatore Giuliano e di suo figlio Gabriele perché ritenuti dal giornalista alla reggenza del clan Tigila di Noto.
Va chiarto che Salvatore Giuliano non è mai stato alla reggenza del clan Trigila. Al contrario, nelle condanne a suo carico risalenti agli anni Novanta, risultava vicino al clan contrapposto: «Lui scriveva che io fossi un reggente dei Trigila. Ma sono accuse assurde perché con questo Trigila non ci siamo mai neppure incontrati. E ci sono sentenze che accertano che fossi reggente di un’associazione mafiosa in contrasto con il clan Trigila», dichiarava Salvatore Giuliano in sede di dibattimento. Lo stesso Pubblico Ministero, il dott. Alessandro Sorrentino, che nella richiesta di rinvio registrava la “forza intimidatrice derivante dalla sua appartenenza al sodalizio mafioso denominato clan Trigila di Noto” nel compiere “atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere Borrometi Paolo a non scrivere articoli giornalistici aventi oggetto la persona di Giuliano Salvatore”, ha dovuto riformulare l’imputazione attribuendola all’omonimo clan Giuliano.
Gabriele Giuliano, a differenza del padre, non registra alcuna condanna per mafia. In “Araba Fenice” era imputato per intestazione fittizia di beni, assolto dallo stesso Tribunale di Siracusa, assoluzione omessa nel lancio di AGI, agenzia stampa in cui Borrometi è vicedirettore e anche su LaSpia.it.
Con il cellulare e, quindi, con l’account del figlio, Salvatore Giuliano scriveva in maniera molto offensiva: “Sono Salvatore Giuliano, a quel giornalista così valente di minchiate dico solo non toccare la mia persona e la mia immagine soprattutto. Perché ti rompo il culo se cerchi lo stipendio da qualcuno te lo devi guadagnare perché sei un altro millantatore”.
In risposta al commento di Salvatore Giuliano, Paolo Borrometi lanciava un “Sto tremando dalla paura”, per poi cancellare quanto scritto. Lo screenshot cancellato piomba in aula nel corso dell’ispezione al cellulare sequestrato di Gabriele Giuliano richiesta dall’avv. Giuseppe Gurrieri.
Gabriele Giuliano, quindi, su messaggistica privata riferiva a Borrometi: “Ascolta, non commentare e non ti permettere mai di usare le immagini di mio padre perché ti azzicco un dito nel culo… se poi vuoi chiarimenti mi dici dove sei e ci incontriamo. Ah vedi che io non devo fare tremare nessuno di paura. Buona serata, spero”.
Nei commenti al post pubblicato su Facebook dell’articolo di Borrometi, Gabriele Giuliano scriveva altri messaggi deprecabili “Beh, la vita è strana sai probabilmente vedrò la tua”; “E chi ha detto che voglio ammazzare tutti! Però fidati che a te la testa te la sbatto muri muri cesso”; “Ma questo signore è un cornuto, lui sta cercando di sedersi sul divano di Barbara D’Urso… cercati un lavoro serio! Fallito”; “Purtroppo questo è una persona senza scrupoli che per notorietà e qualche like infanga la gente! Non smetterò mai di dire che è una persona fallita”.
Ma erano tutti commenti rivolti a Paolo Borrometi? La risposta è no.
Nell’apertura dell’udienza lunedì, infatti, l’avv. Giuseppe Gurrieri chiedeva di depositare nuove prove. Ed in pratica emerge che queste risposte di Giuliano erano rivolte non a Borrometi ma a tale Alessio Di Natale. Era a lui che rivolgeva Gabriele Giuliano. «La testa te la sbatto muri muri io l’ho detto a questo signore perché si ostinava a ripetere che io fossi un mafioso ed è brutto sentirsi accusati di essere mafiosi quando non lo si è», dichiarava in aula in sede d’esame.
I commenti di Gabriele Giuliano si incastrano perfettamente con le affermazioni di Alessio Di Natale. Gli scritti di Gabriele Giuliano sono risposte dettate dalle provocazioni di Alessio Di Natale e non invettive che Gabriele Giuliano rivolgeva a Paolo Borrometi. Il gestore della pagina de LaSpia.it, cioè lo stesso Paolo Borrometi, cancellando i commenti di Gabriele Giuliano, ha attributo alla sua persona quelle affermazioni ...
Salvatore Giuliano, inoltre, a commento di un articolo a firma di Giuseppe Giulietti pubblicato il 23 agosto 2016 sul sito web Articolo21.org dal titolo “Mafia. Nuove minacce a Paolo Borrometi alla vigilia del processo. Da non sottovalutare”, scriveva: “pezzo di merda! Devi dire alla gente quello che fai. Ti sei permesso di pubblicare la mia foto estrapolata da un contesto festivo con altre persone che non c’entrano niente chi cazzo ti autorizza?”. La foto che accompagnava l’articolo ritraeva Salvatore Giuliano insieme ad altri parenti durante i festeggiamenti del matrimonio di una nipote che venivano inquadrati quali persone a conoscenza delle dinamiche del clan dei Trigila di cui Salvatore Giuliano, secondo le ricostruzioni di Borrometi, sarebbe stato un reggente. Perciò, Giuliano - sostiene la difesa - temeva ritorsioni anzitutto per i suoi figli ...
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