Iniziata ieri davanti al Tribunale di Caltanissetta la requisitoria del processo per il cosiddetto depistaggio sulle indagini sulla strage di via D'Amelio.
Imputati sono tre poliziotti: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono accusati di calunnia aggravata in concorso perché secondo la Procura nissena avrebbero tentato di indurre l'ex pentito Vincenzo Scarantino a dire il falso. A prendere la parola all'aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta il pm Stefano Luciani, che da qualche tempo è pm alla Procura di Roma. "Questo processo, anche in virtù dell'aggravante, ha anche l'obiettivo di comprendere quali siano le ragioni alla base delle condotte che questo processo ha cercato di sviscerare", dice il magistrato.
"Mi scuso in anticipo con le parti civili di questo processo perché la requisitoria che mi accingo a fare certamente non sarà adeguata a quella che sarebbe dovuta essere la conclusione di un processo di questa portata - dice ancora Luciani - Non sto qui certamente a sottolineare, benché certamente parliamo di imputazioni precise nei confronti di soggetti ben determinati, le implicazioni ulteriori che ha questo processo. Certamente meritava una discussione diversa da parte del pubblico ministero".
Luciani ha quindi ricordato quando nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza, che ha fatto scoprire le falsità di Scarantino - riporta l'AdnKronos - "inizia a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D'Amelio e che andava a mettere in discussione condanne all'ergastolo. E' facile dunque comprendere che tipo di impegno attendeva la procura di Caltanissetta e le altre procure interessate". Ha anche ricordato che "questo processo ci pone in linea di continuità con il processo Borsellino Quater che ci ha rassegnato una verità e cioè che quelle condanne erano state comminate sulla base di prove manipolate che consistevano essenzialmente, ma non solo, in prove dichiarative. Era stata manipolata la collaborazione di Salvatore Candura, quella di Francesca Andriotta e infine quella di Vincenzo Scarantino".
"Il più grande depistaggio della storia italiana nasce a Pianosa - ricostruisce quindi Luciani - . Come si arriva all'interrogatorio del 24 giugno 1994? Quindici giorni dopo l'arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto il 29 settembre 1992, atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta Tinebra una nota del Sisde con a capo Contrada, veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale incredibilmente, il Sisde anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso. Da quel momento Vincenzo Scarantino subisce un pressing asfissiante. A Venezia, a Busto Arsizio, viene sottoposto a interrogatori costanti e ripetuti. Viene sottoposto a plurimi procedimenti penali a condanne per traffico di droga, rinviato a giudizio per la strage. Il 24 giugno 1994, quando disse di volere parlare della strage Scarantino era un uomo, disperato, sfiancato".