Un depistaggio "gigantesco ed inaudito che ha coperto alleanze mafiose di alto livello". Parole forti nelle requisitore della procura di Caltanisetta, nel processo per depistaggio nell'indagine sulla strage di Via D'Amelio, dove morì il giudice Borsellino e la sua scorta.
Ecco perché - secondo la Procura - i tre poliziotti che facevano parte del Gruppo Falcone e Borsellino, istituito dopo la strage, "devono essere condannati".
Ad intervenire in aula anche il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, a manifestare la convinzione sulle tesi dell'accusa della "procura tutta": "Sono qui per testimoniare che le conclusioni di questa requisitoria non rappresentano il convincimento isolato di uno o due pubblici ministeri di udienza, tutta la Procura di Caltanissetta le condivide".
Chiesti 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
La tesi della procura di Caltanisetta, è che sia stato messo in atto un depistaggio sistematico, con il tramite del pentito Scarantino, per frenare e distogliere le indagini sulla strage del 19 luglio 1992, un depistaggio di cui sarebbero stati principali fautori i tre poliziotti per i quali è stata chiesta la condanna.
Secondo il pubblico ministero, Stefano Luciani, i tre imputati: "Hanno avuto molteplici condotte e tutte estremamente gravi, che rendono tangibile il grado di compenetrazione nelle vicende: non una condotta illecita di passaggio, ma che dal primo momento fino all'ultimo si ripete e si reitera", dice ancora Luciani. E poi aggiunge: "E' dimostrato in maniera assoluta il protagonismo del dottor Mario Bo, sulle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino e nella illecita gestione di Scarantino nella località protetta", a parere della Procura ci sarebbero insomma forti elementi a dimostrare "convergenze che certamente ci sono state nella ideazione della strage di via D'Amelio, tra i vertici ed gli ambienti riferibili a Cosa nostra, ed ambienti esterni ad essa", così Luciani.
Il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca ed il pubblico ministero, Stefano Luciani, hanno chiesto 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati davanti al tribunale per calunnia "aggravata dall'aver favorito Cosa Nostra".
Appartenevano al pool investigativo "Falcone-Borsellino", diretto dal questore Arnaldo La Barbera, morto nel 2002 - per tutti e tre è stata chiesta l'interdizione dai pubblici uffici.
Il presunto depistaggio ricostruito dai Pm: "Siamo tutti in condizione di comprendere che la strage è avvenuta in un momento storico che ha prodotto effetti assolutamente devastanti per l'organizzazione mafiosa - dice il magistrato - se, quindi, i tempi di realizzazione della strage sono tempi che non coincidevano con gli interessi di Cosa nostra, se è un dato oggettivo e incontestabile che i tempi non coincidevano con gli interessi dei boss, allora i tempi erano funzionali ad ambienti esterni a Cosa nostra".
Parlando dell'ex pentito, Vincenzo Scarantino - che con le sue false dichiarazioni ha fatto condannare all'ergastolo degli innocenti accusati di avere fatto parte della strage di Via D'Amelio - il procuratore De Luca dice: "Tutti sapevano che Vincenzo Scarantino era un personaggio delinquenziale di serie C".
Quali fossero questi "ambienti esterni", non viene espresso esplicitamente in aula, ma i contorni che servono a far capire la tesi dell'accusa si: come "la presenza di un individuo all'interno del garage di via Villasevaglios, non conosciuto da Gaspare Spatuzza e dallo stesso individuato come possibile soggetto esterno all'associazione mafiosa".
E poi, ancora, si ipotizza un collegamento tra il pool che indagava sulle stragi, con i servizi segreti. Così il Pm, Luciani: "E' assolutamente provato in questo processo, ma lo era già al processo Borsellino quater di un, a dir poco anomalo coinvolgimento del Sisde nelle primissime attività di indagini che hanno riguardato la strage di via D'Amelio". "La genesi di questo coinvolgimento viene ricostruita - dice ancora Luciani - le dichiarazioni rese da questi soggetti sono interessati ad edulcorare la natura di questi rapporti, ma quello che emerge dalle carte è un dato non edulcorabile".
"E' impensabile che i Servizi di informazione, facendo il loro mestiere, cioè acquisire informazioni sul territorio, non avessero compreso che Scarantino era di modestissimo spessore criminale".
"TROVEREMO LA VERITA'"."La ricerca della verità continua fra quelle persone che rappresentano i cosiddetti concorrenti esterni che non hanno fatto materialmente la strage di Capaci, ma che possono aver spinto, e concorso con Cosa nostra, alla realizzazione di questo fatto".
Lo ha detto il nuovo procuratore generale di Palermo Lia Sava alla sua prima uscita pubblica nella scuola De Gasperi di Palermo, dove questa mattina è stata messa a dimora una gemma proveniente dall'albero Falcone.
Alla iniziativa hanno partecipato anche i carabinieri del Centro anticrimine natura. "Non è semplice la ricerca della verità - ha proseguito Sava - Le procure di Caltanissetta, Palermo, Reggio Calabria e Firenze, con la direzione nazionale antimafia voluta fortemente da Giovanni Falcone, cercano ancora e riusciranno, riusciremo, a comprendere cosa ci è stato dietro alle stragi".
La procuratrice generale di Palermo, che a lungo ha lavorato sulle stragi del 1992 a Caltanissetta, prima da procuratore aggiunto poi da procuratore generale, ha parlato anche delle difficoltà in questo tipo di inchieste: "Non è un cammino facile perché ci sono ancora delle reticenze e il tempo che passa non aiuta nella rapidità dell'individuazione dei responsabili. Ma io sono cautamente ottimista - ha detto il magistrato ai bambini della elementare De Gaspari - quello che il tempo toglie, il tempo aggiunge e si riuscirà a comprendere la verità prima che voi siate adulti"