Di Katia Regina - Sposarsi in chiesa non è obbligatorio. Chi decide di farlo prende un impegno con sé stesso e con tutta la comunità religiosa d'appartenenza.
Quanti tra quelli che celebrano il rito religioso cattolico sono consci di tale impegno? In che modo la Chiesa prepara e segue i fedeli in questo percorso di vita? Ecco come il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita motiva la scelta di pubblicare un nuovo documento che traccia le linee guida per un rinnovamento pastorale: All’origine del presente documento vi è, anzitutto, il desiderio di offrire alle coppie una migliore e più approfondita preparazione al matrimonio, mediante un itinerario, ispirato al catecumenato battesimale, sufficientemente ampio, che permetta di ricevere un’adeguata formazione alla vita coniugale cristiana a partire da un’esperienza di fede e di incontro con Gesù; che non si limiti, dunque, a pochi incontri a ridosso della celebrazione, ma faccia percepire il carattere quasi “permanente” della pastorale della vita coniugale che la Chiesa intende portare avanti.
Un documento di quasi cento pagine approvato da Papa Francesco che ne ha scritto la prefazione:
« ho raccomandato di attuare un vero catecumenato dei futuri nubendi, che includa tutte le tappe del cammino sacramentale: i tempi della preparazione al matrimonio, della sua celebrazione e degli anni immediatamente successivi »
Un percorso che dura diversi anni e si spinge anche dopo il matrimonio, una sorta di laurea/patente da cristiano necessaria per poter celebrare il proprio matrimonio religioso. Un atto di coraggio notevole, da parte della Chiesa, se si considera quanto già sia vissuto con fastidio, da parte della maggioranza dei fedeli, il breve corso prematrimoniale finora obbligatorio. Se a questo si aggiunge tutta una serie di impegni da rispettare, compreso il ritiro spirituale a ridosso delle nozze, temo si possa intravedere sin d'ora uno spopolamento di nubendi più che prevedibile.
Da laica non praticante ho provato un forte fastidio iniziale nel leggere di questo nuovo documento, arrogandomi un diritto che non ho di mettere il naso in faccende che, tutto sommato, non mi toccano. Tuttavia, leggendo il testo integrale, ho visto la mia indignazione tramutarsi in approvazione. Proprio così. Il proposito della Chiesa mi è apparso, oltre che legittimo, persino necessario per poter finalmente fare una bella scrematura tra i fedeli che si professano credenti a intermittenza. Una Chiesa più attenta e rigorosa non può che giovare alla sua stessa comunità, in questo modo chi resta non può che essere un autentico cattolico, rispettoso delle regole dettate dal Santo Padre attraverso i vari dicasteri.
Da questa prospettiva il documento assume un senso che gli stessi fedeli dovrebbero comprendere e approvare. Ma veniamo ora alla più spinosa questione della castità prematrimoniale. I titoli dei maggiori giornali hanno estrapolato questo aspetto che, si sa, avrebbe catalizzato l'attenzione più di ogni altro messaggio contenuto nelle 97 pagine.
“ È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale...”
Individuare la castità come condizione preziosa non mi pare una conditio sine qua non. Si tratta, semmai, di un suggerimento decisamente anacronistico, oltre che arbitrario. Sì perché nessuna indicazione di questo tipo viene data nelle scritture, lo stesso Gesù dei Vangeli ha mostrato un sano pudore nel non trattare questioni tanto personali e delicate. Ancora una volta qualche alto prelato non ha resistito alla tentazione di guardare dentro le camere da letto dei fedeli. Una leggerezza (?) che sta rischiando di fagocitare un intento ben più nobile. Un documento che potrebbe ispirare anche il Ministero della famiglia, per creare nei territori percorsi di accompagnamento dei giovani e delle famiglie laiche attraverso una rete di consultori e professionisti capaci di seguire e deviare il corto circuito che ormai si è creato, soprattutto tra gli adolescenti che praticano il sesso come rottura del ghiaccio.
Ogni volta che la Chiesa si pronuncia su questioni riguardanti la sessualità, si registra un autogoal clamoroso, stavolta a dirlo sono anche uomini di fede:
Pubblicato con il titolo: CHIESA LONTANA DALLA MODERNITÀ, l'articolo del prof. VitoMancuso su LaStampa del 16 giugno 2022
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L’aveva già intuito la Bibbia ebraica usando il verbo “conoscere” come sinonimo di “unirsi sessualmente”. Si legge infatti in Genesi 4,1: “Adamo conobbe Eva sua moglie che concepì e partorì”. Vale a dire: si giunge a conoscere veramente una persona, al punto da scegliere responsabilmente di volerla compagna di vita per tutta l’esistenza, solo se prima la si conosce nell’integralità del suo corpo e nella completezza del carattere e della personalità quali si rivelano anche nel rapporto sessuale. Niente completezza dei rapporti sessuali, niente completezza della conoscenza. Adamo infatti conobbe Eva non prima del rapporto sessuale, ma “nel” rapporto sessuale. Ed è un vero peccato che questa antica sapienza biblica, trasmessa non solo nel testo citato della Genesi ma anche dal libro del “Cantico dei cantici”, dopo duemilacinquecento anni non sia stata ancora recepita dal Magistero della Chiesa cattolica, come appare nel modo più esplicito e più deludente dal documento vaticano pubblicato ieri, opera del “Dicastero per i laici, la famiglia e la vita”, intitolato “Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale” e che rispecchia alla perfezione il pensiero di Papa Francesco.
Il documento si apre con una Prefazione del Pontefice che dichiara lo scopo perseguito: quello di offrire un articolato percorso di preparazione al matrimonio che viene detto “catecumenato”, classico termine del gergo ecclesiastico che tradizionalmente rimanda al periodo di preparazione di coloro che si apprestano a ricevere il battesimo, detti appunto “catecumeni”. La Chiesa già da tempo prevede corsi di preparazione al matrimonio, ma per Papa Francesco non sono sufficienti e per questo intende istituire “un nuovo catecumenato in preparazione al matrimonio”. Secondo il Papa questo nuovo catecumenato è necessario perché a causa dell’attuale preparazione troppo superficiale “le coppie vanno incontro al rischio reale di celebrare un matrimonio nullo o con basi così deboli da sfaldarsi in poco tempo”. Constatazione che, a giudicare dal grande lavoro della Rota Romana che non cessa di dichiarare nulli matrimoni durati anni e soprattutto dal numero impressionante di separazioni e di crisi coniugali, non resta che condividere del tutto. Ma per provare ad arginare la frana progressiva dei matrimoni, la scelta di Papa Francesco non è di tipo lassista abbassando il livello di quanto è necessario per dichiararsi sposi cristiani, ma al contrario è all’insegna di un rinnovato e più responsabile impegno. D’ora in avanti chi vorrà sposarsi in chiesa dovrà sottoporsi a un cammino lungo e articolato che prevede tre tappe: 1) un periodo di preparazione remota, prossima e immediata al matrimonio; 2) un particolare modo di celebrare le nozze; 3) un accompagnamento della comunità cristiana nei primi anni di vita coniugale. Insomma: se fino a oggi chi voleva sposarsi in chiesa se la cavava con qualche serata in parrocchia, da domani dovrà prevedere un periodo di preparazione e di accompagnamento di alcuni anni. Si tratta della prospettiva giusta per mettere fine alla diminuzione crescente dei matrimoni in chiesa e all’aumento ancora più crescente delle separazioni e dei divorzi? Ovviamente nessuno lo sa, ma quanto mi sento di dire è che è ammirabile il desiderio di non fare sconti e di rilanciare la preziosità dell’impegno che il matrimonio richiede.
Rimane però, assai grave, l’incapacità della Chiesa cattolica di comprendere la sessualità. Papa Francesco in questo non si distingue dai suoi predecessori, visto che non recepisce per nulla le posizioni più avanzate di alcuni teologi e di alcuni vescovi e soprattutto della Bibbia. Secondo lui “la castità insegna ai nubendi i tempi e i modi dell’amore vero, delicato e generoso”, perché “solo quando un amore è casto, è veramente amore”. Egli ritiene infatti, come scrisse in un documento del 2020 (Patris corde, n. 7) citato dal documento pubblicato ieri, che “l’amore che vuole possedere, alla fine diventa pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici”. Ma è veramente così?
Io non penso che, per risultare eticamente lecito, il sesso debba essere esercitato unicamente all’interno del matrimonio. Penso al contrario che vi possano essere forme di esercizio della sessualità eticamente lecite che prescindono dal vincolo matrimoniale. Qualcuno potrebbe obiettare che pressoché tutte le religioni condannano la sessualità al di fuori del matrimonio, ma la risposta è che esse si sono formate in epoche assai lontane in cui la struttura sociale era molto diversa rispetto a oggi, epoche in cui l’individuo contava ben poco rispetto alla tribù e alla famiglia e in cui i matrimoni non rispondevano a una logica di conoscenza reciproca e di amore personale ma erano piuttosto un evento sociale deciso da altri, non dagli sposi. L’età di costoro inoltre, in particolare delle donne, era molto inferiore rispetto agli usi attuali (la Madonna per esempio aveva dodici, quattordici anni al massimo), così che il matrimonio veniva a coincidere con l’ingresso nella pubertà e con il sorgere del desiderio sessuale. Ne consegue che il sesso al di fuori del matrimonio significava o adulterio o pedofilia, ed è per questo che tutte le tradizioni religiose condannano i rapporti prematrimoniali.
Oggi però la situazione è del tutto mutata, oggi al matrimonio si arriva molto più avanti nell’età, almeno a trenta, più volte a quaranta, e soprattutto con altre attese, date dal fatto che l’individuo non considera più la sua esistenza come totalmente al servizio della struttura familiare, ma come un fine in se stessa. È per questo che oggi risulta insensato condannare i rapporti prematrimoniali. Al contrario, quando esiste un impegno reciproco di due persone che si nutre di affetto, sincerità, stima, desiderio di futuro, è impossibile non considerare quanto l’unione sessuale favorisca la loro conoscenza e intesa reciproca. È questo il vero “catecumenato”: una conoscenza integrale e responsabile dell’altro, di sé, e della qualità dell’armonia fisica, psichica e spirituale che ne scaturisce.
Consigli per la lettura: a proposito di ciò che Gesù ha detto o non ha detto, suggerisco il libro del professore Francesco Mercadante dal titolo Questo è il mio sangue, anche in questo caso sarà sorprendente scoprire quanto sia stata maltradotta, se non travisata, la parola di Yeshùa.