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30/07/2022 06:00:00

Trapani e gli altri: così i CPR inghiottono le vite degli stranieri in Italia 

Il CPR di Trapani Milo come gli altri dieci che vi sono in Italia, inghiottono la vita di chi vi vive temporaneamente. I CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri), in Italia spesso sono dei veri lager dove finiscono, e in alcuni casi perdono anche la vita, i cittadini stranieri che non hanno un regolare visto di soggiorno.

Nello Stivale sono dieci le strutture attive: Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago, Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma-Ponte Galeria, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese. In totale possono ospitare 1.100.

In Italia dal 1998, sono stati istituiti con il governo di Romano Prodi dalla legge Turco-Napolitano, chiamati CPTA (Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza), poi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e infine con la riforma Minniti-Orlando del 2017 sono diventati CPR.

Il balletto della “detenzione” – Nati con un periodo massimo di 30 giorni, con gli anni e con diverse leggi che si sono succedute, il periodo di permanenza è aumentato con la Bossi-Fini a 60 giorni, poi nel 2011 con il Governo Berlusconi si arrivò addirittura a 18 mesi di trattenimento nei CIE. Poi dopo una diminuzione a 180 giorni con l’attuale ministro Lamorgese si è ridotta la permanenza a 90 giorni con possibilità massima di 120 giorni.

Divieto per la stampa di entrare nei CPR – Il ministro dell’Interno Roberto Maroni nel 2011 con una circolare vietò alla stampa l'accesso ai centri per immigrati, con la ministra Anna Maria Cancellieri ci fu una direttiva che solo formalmente però l’ha superata. E infatti La campagna LasciateCIEntrare ricorda che “ancora oggi la sospensione del divieto non rappresenta de facto la garanzia della libertà di informazione. Capire e raccontare cosa accade in questi luoghi è estremamente difficile a causa della discrezionalità con la quale le richieste di accesso vengono gestite e trattate”.

Diversi episodi di fuga e violenza nel centro di Milo a Trapani - A dimostrazione che non si vive bene nei CPR, nel centro di Milo a Trapani sono diversi gli episodi di migranti fuggiti. L'ultimo è avvenuto lo scorso anno quando furono in undici gli ospiti che fuggirono dal Centro per il rimpatrio. Negli anni sono diversi gli episodi di protesta. Con alcuni ospiti che in alcuni casi hanno dato fuoco a coperte e materassi e dove la tensione è rimasta alta a lungo. 

In queste strutture sono diversi i casi di persone morte all’interno – Tra questi ricordiamo il 26enne tunisino Wissem Ben Abdel Latif, trattenuto nel centro di Ponte Galeria e morto all'ospedale San Camillo di Roma dopo essere stato sottoposto a contenzione meccanica, e il connazionale 44enne Anani Ezzeddine suicidatosi nel CPR di Gradisca d'Isonzo. Misteriose le Cause della morte di Latif che era arrivato a settembre in Italia, era stato all'hotspot di Lampedusa “dove aveva dormito a terra circondato da una rete perché il centro era stracolmo” e poi trattenuto su una nave per espletare la quarantena senza aver accesso alla richiesta di protezione internazionale. Tutto questo non aveva fiaccato lo spirito di Abdel Latif, come riferisce la sorella Rania. Secondo quanto riportato dai media, alcune persone trattenute nel CPR hanno parlato anche di possibili maltrattamenti.

Chi puo accedere ai CPR - Ai Centri possono accedere, in qualunque momento, senza alcuna autorizzazione e previa tempestiva segnalazione alla Prefettura, membri del governo, parlamentari ed europarlamentari che hanno la facoltà di farsi accompagnare da un proprio assistente. Altre figure con libertà di accesso sono il delegato in Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) o suoi rappresentanti autorizzati e i Garanti dei diritti dei detenuti. Associazioni, giornalisti e personale della rappresentanza diplomatica o consolare del Paese d'origine del recluso possono entrare solo se autorizzati dalla prefettura.
Nel rapporto sulle visite effettuate nei CPR dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale una delle raccomandazioni è che “venga aumentata la permeabilità e l’osmosi dei centri rispetto ai territori, con la partecipazione anche di espressioni della società civile, per la realizzazione di attività anche di tipo formativo rivolte alle persone trattenute, per un significativo impiego del tempo trascorso in privazione della libertà personale”.

Grave la presenza di minorenni nei CPR - «Mai come nell'ultimo anno e mezzo, dopo l’accordo con la Tunisia, abbiamo visto un tale transito di minori stranieri non accompagnati nei centri, non solo a Ponte Galeria ma a Milano, Torino, Bari e Brindisi. In alcuni casi non dichiaravano la minore età perché non veniva loro chiesta. Chiaramente quando hanno avuto modo di comunicarla ci sono state tutte le verifiche di rito, ma di fatto hanno trascorso giorni, o solo qualche ora, in un luogo illegittimo», dice Yasmine Accardo di LasciateCIEntrare.

Diversi gli epidosi di autolesionismo - Al drammatico conteggio dei decessi all'interno dei CPR luoghi temporanei di detenzione vanno aggiunti i numerosi episodi di atti di autolesionismo compiuti dalle persone recluse: solo a Torino nei mesi di ottobre e novembre 115 casi, definiti dal segretario provinciale del sindacato di polizia Siulp Eugenio Bravo come “simulazioni di tentati suicidi”.

Si parla poco dei CPR, se ne parla sono quando qualcuno perde la vita - Purtroppo anche per le restrizioni imposte dalle leggi negli accessi media ormai parlano dei CPR solo quando una persona perde la vita. Come accaduto in questi mesi con Moussa Balde a Torino e con la morte di Abdel Latif. E in precedenza con altre vittime: Harry, ventenne nigeriano con problemi psichiatrici impiccatosi nella struttura di Brindisi; Hossain Faisal, cittadino bengalese di 32 anni morto nei locali dell'Ospedaletto del CPR di Torino; Aymen Mekni, cittadino tunisino di 34 anni stroncato da un malore a Caltanissetta; Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano deceduto a Gradisca d'Isonzo; Orgest Turia, cittadino albanese di 28 anni ucciso sempre in Friuli-Venezia Giulia da un'overdose di metadone. Luoghi che, invece, dovrebbero essere raccontati nella loro quotidianità per capire come funzionano, come vengono organizzati e cosa succede veramente dentro quelle mura. Si registrano troppi trasferimenti violenti, e ogni giorno c’è una disattenzione alla singola persona. 

Emergenza a Pantelleria - Intanto sul fronte dell'immigrazione è stata riconosciuta dal ministero dell'Interno la situazione di emergenza a Pantelleria,  e si procederà  all'attivazione di un ufficio distaccato per procedere all'identificazione e fotosegnalamento degli immigrati al loro arrivo, composto da scientifica, Digos, squadra mobile. Così come accade già da tempo a Lampedusa. Ancora però non si conoscono i tempi.

Non dovrebbero esserci più i trasferimenti via mare e non verrà istituito un hotspot - A Pantelleria l'intervento snellirà le attività in quanto non ci sarà più la variabile dei trasferimenti via mare e si valuta di poter trasferire gli immigrati via aereo. Non  ci sarà comunque l'attivazione di un hotspot sull'isola.  L'organizzazione sindacale Italia Celere, con una nota si ritiene molto soddisfatta di questo passo compiuto dal ministero,  "lo chiediamo da più di un anno. Questo intervento andrà a migliorare le condizioni di lavoro del personale impegnato dal fenomeno migratorio”. “Attualmente le persone giunte con il medesimo sbarco vengono trasferite da Pantelleria in maniera frammentata - continua - così come la relativa documentazione di polizia e sanitaria, complicando l'esatta ricostruzione dei componenti lo sbarco. Se inoltre venisse verificata la fattibilità di effettuare i rimpatri a mezzo volo charter direttamente da Pantelleria, si raggiungerebbe il massimo risultato. Ci auguriamo solo che l'apertura dell'ufficio di polizia distaccato avvenga in tempi celeri e non venga ostacolato dall'attuale situazione di crisi politica”.

Fondi per la videosorveglianza - L'intervento del ministero dell’Interno non riguarda solo questa vicenda legata a Pantelleria. Ammontano a 30 milioni di euro infatti, le risorse reperite nell'ambito del Programma operativo complementare legalità 2014 - 2020 (Poc Legalità) per il finanziamento di progetti di realizzazione di impianti di videosorveglianza integrata da parte delle amministrazioni locali delle regioni Sicilia, Basilicata, Calabria, Campania e Puglia.

Il bando -  Potranno partecipare i comuni con una popolazione residente superiore a 20 mila abitanti e comuni con un numero di abitanti inferiore che siano stati sciolti per infiltrazioni mafiose, è stato predisposto dopo la consultazione delle Regioni e dell’Anci. Dall’iniziativa sono stati esclusi i comuni che abbiano già beneficiato di finanziamenti a valere sui medesimi programmi o sui fondi assegnati per la realizzazione di impianti di videosorveglianza.

C'è  il comune di Trapani  - I comuni in possesso dei requisiti per la partecipazione al bando sono complessivamente 219,  65 in Sicilia (tra questi Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Trapani ed Enna);  Le domande dovranno essere presentate entro il prossimo 20 ottobre.