Detto in maniera chiara e diretta: "Quattro centesimi a riga" è un libro che andrebbe inserito dritto dritto nell'elenco dei testi obbligatori per superare l'esame di giornalista. Vale più di ogni codice deontologico. E' una storia crudele, che non lascia spazio a compromessi, quella raccolta da Lucio Luca.
E' la storia di Alessandro Bozzo, giornalista di razza, bravissimo. Calabrese. Lo incontriamo, tra le pagine del suo diario, sulla soglia dei quaranta anni. Vive sotto la minaccia della 'ndrangheta, ha una paga da fame, il suo editore gli fa la guerra, il troppo lavoro lo sta allontanando sempre più dalla famiglia. Ma Bozzo non è un giornalista "vip", per lui non ci sono né la scorta, né i ricchi gettoni della televisione. C'è l'amore per un mestiere che lo trascina sempre più a fondo. E non c'è lieto fine nella storia, vera, di Bozzo. Perchè dopo l'ennesima mortificazione, quando vede che tutta la sua vita, a quaranta anni, è in un vicolo senza uscita, e che fare bene il mestiere che ama fare lo porterà sempre più in fondo, lui si suicida.
Non lo ricorda nessuno, Alessandro Bozzo, perché non era un eroe. E' stato sfortunato. L'avessero ammazzato, oggi ci sarebbero premi giornalistici a lui intitolati, Netflix avrebbe fatto una serie sulla sua vita, i suoi articoli sarebbero pubblicati in raccolte da distribuire nelle scuole. Ed invece gli hanno fatto uno sgarbo ancora peggiore: spingerlo al suicidio.
Lucio Luca, dando luce a questa opera, ci ricorda che Bozzo era qualcosa di più di un eroe. Era uno che ci credeva.