Il ponte sullo Stretto era nel programma della coalizione di governo, e qualche ministro ha incominciato a parlarne come di qualcosa realizzabile effettivamente, senza ricordare che nella recente impostazione tecnica il progetto non aveva senso e non era economicamente finanziabile; equivale a un ulteriore aumento del debito pubblico di decine di miliardi (includendo una nuova linea ferroviaria ad alta velocità che ne è il presupposto). Tuttavia, invece di partire in quarta su una riedizione di un progetto faraonico, si potrebbe considerare seriamente un progetto
simile e innovativo che potrebbe esser realizzato rapidamente
solo con capitali privati.
Da consulente avevo avuto modo di studiare, più di 20 anni fa, il progetto iniziale, concludendo che era infattibile, come poi i fatti hanno dimostrato; le principali ragioni della infattibilità sono:
1. Impostazione a campata unica (voluta solo per fare il record mondiale; tre campate sono meno costose e più bilanciate);
2. Inclusione della ferrovia, che decuplica i vincoli tecnici e i costi senza aumentare molto i ricavi;
3. Inesistenza di domanda per un’alta velocità per passeggeri da Palermo a Napoli (i viaggiatori normali sanno che andare in aereo costa molto meno e ci vuole un decimo del tempo) e per un aumento del traffico di merci su gomma (meglio continuare ad aumentare il cabotaggio Sicilia - Italia centro settentrionale).
Rimuovendo i primi due vincoli citati, un ponte “ecologico” potrebbe stare in piedi (dal punto di vista finanziario, economico e ambientale) se impostato su ospitare quasi solo veicoli elettrici su gomma. Per fare un ponte ci vogliono 10 anni e più, quindi si arriva al 2033 quando la maggior parte delle vetture nuove sarà elettrica; ma ci saranno anche i camion elettrici (dei test in Germania ne stanno dimostrando la fattibilità): una corsia sarebbe elettrificata (come quella dei filobus), i camion (e i bus) aggancerebbero il proprio pantografo alla rete elettrica e potrebbero fare centinaia di chilometri senza inquinare; arrivati a destino con il motore termico ai punti di consegna (non troppo distanti), senza passare per una onerosa “rottura del carico” in un centro intermodale.
Ecco quindi che un’idea vincente sarebbe quella di fare un ponte sul quale viaggerebbero prevalentemente veicoli elettrici; questa soluzione taglia via l’argomentazione populista che ci debba anche essere il treno per non inquinare. Non c’è un “diritto di scegliere il treno” per i viaggiatori: se uno proprio vuole andare su un mezzo pubblico da Messina a Napoli può farlo su un autobus elettrico e non necessariamente su un treno; ovviamente non si tratta di alta velocità ma se uno si rifiuta di andare in aereo in circa 1 ora da Palermo a Roma ma è disposto a prendere (nel 2040?) un ipotetico treno ad alta velocità che ci metterà comunque 5 ore, quel qualcuno può anche metterne 9 per viaggiare con un bus elettrico. Ma un ponte non si fa per questi scriteriati, si fa per i camion che se rimangono col diesel inquinano, e ovviamente per gli automobilisti normali.
Al dire “niente treno” insorgono tutti quelli del sud che si sentono trattati da cittadini di serie B. Il risultato è che alta velocità più ponte ferroviario sono un combinato disposto di costi (e debiti) irrecuperabili di decine di miliardi e di tempi biblici; un ponte strallato a tre campate con 6 corsie di cui 2 riservate a veicoli pesanti elettrificati, si farebbe in tre anni e, essendo molto meno costoso, si ripagherebbe da sé con i pedaggi.
Gianfilippo Cuneo, Il Sole 24 Ore (qui l'articolo originale)