"Un boss e suo figlio sono stati condannati per le minacce al giornalista Paolo Borrometi". Così titola l'Agi, dove Borrometi è direttore, in un articolo poi ripreso dalle altre testate. Si tratta di una vicenda grave, che abbiamo cercato di seguire da vicino. E spieghiamo come sono andate le cose.
Il Tribunale di Siracusa - Sezione Penale riporta con sentenza in primo grado una storia diversa rispetto a quella raccontata in querela dal giornalista Paolo Borrometi. Le accuse smontate punto per punto dall’avv. Giuseppe Gurrieri, legale di Salvatore e Gabriele Giuliano imputati per diffamazione, minacce e tentata violenza aggravate dal metodo mafioso per avere favorito l’omonimo clan, hanno segnato un duro colpo alla stampa nazionale che conta e, soprattutto, alle associazioni di categoria.
A commento dell’articolo dal titolo “Da Noto a Rosolini, passando per Avola e Pachino: viaggio nel “regno” dei Trigila (nomi e foto)” pubblicato sul sito “La Spia” il 22 agosto 2016 e successivamente condiviso sui social, Salvatore Giuliano, utilizzando il telefono e l’account del figlio, scriveva a commento: “Sono Salvatore Giuliano, a quel giornalista così valente di minchiate dico solo di non toccare la mia persona e la mia immagine soprattutto. Perché ti rompo il culo se cerchi lo stipendio da qualcuno te lo devi guadagnare perché sei un altro millantatore!”.
I due sono stati imputati per tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Ma va detto che il collegio ha riqualificato il reato in "minacce aggravate dal metodo mafioso", assolvendo il figlio Gabriele e condannando Salvatore Giuliano alla pena di un anno e 2 mesi di reclusione ed euro 1000 di multa, condanna che per Salvatore Giuliano comprende anche il reato di diffamazione per il commento a un articolo pubblicato su articolo21.org a firma del giornalista Beppe Giulietti, Presidente della FNSI. Salvatore Giuliano, rivolgendosi a Paolo Borrometi, scriveva: “Pezzo di merda! Devi dire alla gente quello che fai. Tu ti sei permesso di pubblicare la mia foto estrapolata da un contesto festivo con altre persone che non c’entrano niente chi cazzo ti autorizza?”
In un messaggio privato inviato a seguito di una sorta di "provocazione" (non abbiamo come altro definirla) di Paolo Borrometi, poi cancellata, nella quale scriveva in risposta a Salvatore Giuliano “Sto tremando dalla paura” ma recuperata sul cellulare sottoposto a sequestro perché immortalata su uno screenshot, Gabriele Giuliano scriveva: “Ascolta, non commentare e non ti permettere mai di usare le immagini di mio padre perché ti azzicco un dito nel culo… se poi vuoi chiarimenti mi chiami mi dici dove sei e ci incontriamo ah vedi che che io non devo fare tremare nessuno di paura buona serata spero”. Accusato per tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso il Tribunale di Siracusa riqualifica il reato in minacce avvalendosi della forza di intimidazione di stampo mafioso.
Inoltre, Gabriele Giuliano era accusato per avere scritto tra i commenti: “Beh la vita è strana sai probabilmente vedrò la tua”; “E chi ha detto che voglio ammazzare tutti! Però fidati che a te la testa te la sbatto muri muri cesso”; “Ma questo signore è un cornuto, lui sta cercando di sedersi sul divano di Barbara D’Urso… cercati un lavoro serio! Fallito”; “Purtroppo questo è una persona senza scrupoli che per notorietà e qualche like infanga la gente! Non smetterò mai di dire che è una persona fallita!”. In aula è emerso però che lo scambio non avveniva tra Gabriele Giuliano e Paolo Borrometi ma tra Gabriele Giuliano e tale Alessio Di Natale. Pertanto, il capo di imputazione che chiamava Gabriele Giuliano a rispondere dei reati di minaccia aggravata dal metodo mafioso e diffamazione, è riqualificato dal Tribunale in diffamazione. Gabriele Giuliano è perciò condannato alla pena di un anno e due mesi pena sospesa e al pagamento di una multa pari a euro 1000. Il Tribunale condanna gli imputati al risarcimento danni nei confronti di Paolo Borrometi e rigetta la richiesta di risarcimento del danno al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, alla FNSI e all’Associazione Siciliana della Stampa.
«Il Tribunale, condannando gli imputati, ha riconosciuto il fatto che le minacce e le offese rivolte a Borrometi erano dirette alla sua persona e non alla sua professione, alla categoria dei giornalisti e, più ampiamente, alla libertà di stampa», dichiara l’avv. Giuseppe Gurrieri. «Come difensore attendo di conoscere le motivazioni anche e soprattutto per comprendere in quali termini i giudici affronteranno l'aspetto dell'azione provocatoria che, a mio avviso, la persona offesa ha posto in essere in coincidenza con le condotte degli imputati».