Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
04/01/2023 06:00:00

Ci fosse stato uno

 Ci fosse stato uno. Uno di destra, sinistra, di su o di giù. Uno di governo di opposizione, di vorrei ma non posso. Uno.
Ci fosse stato uno che lunedì, di fronte all’ “attentato” a colpi di vernici (lavabili) contro il muro e il portone  del Senato da parte di cinque giovani attivisti ambientalisti avesse detto qualcosa di diverso da condanna, vergogna, ragazzacci, terroristi, pagherete caro, buuu, dov’è il rispetto delle istituzioni, in galera!, in galera!

E’ stato come un coro.

E invece, nella mia ingenuità, io mi aspettavo che magari uno c’era, che prendeva la parola per dire una cosa tipo così:

Egregio Presidente, cari colleghi senatori, italiani, questi ragazzi l'hanno combinata grossa, certo, ma hanno ragione. Si, avranno sbagliato il modo, sicuramente, non sono cose che si fanno, deturpare così il palazzo dei Senatori ... Ma non concetriamoci troppo sulla vernice. Quella, tanto, si leva. Parliamo delle motivazioni. Questi ragazzi hanno ragione. Perché sono disperati, e non sanno più come essere ascoltati. Prendersela con loro è come prendersela con le api che non riescono a fare più il miele, con i limoni che fioriscono a dicembre, con le mimose che già a gennaio riempiono gli alberi. E' quello che accade per ora nella nostra campagna, e sono anche questi, dei gesti di ribellione. Cose mai viste, vero? O siamo noi che non vogliamo ancora aprire gli occhi.

Onorevoli colleghi, questi ragazzi non sanno come farsi sentire perché hanno deciso di sposare la causa meno vendibile del mondo: la lotta per l’ambiente e contro il cambiamento climatico. Questa nostra reazione così esagitata, che a momenti qualcuno invoca per gli autori del gesto il 41bis, ci fa apparire un po’ vigliacchi, consentitemi. Perché sembriamo una casta, noi tutti, e dico tutti -  parlando di chi è al governo e di chi non lo è - alla quale fa più paura un po’ di vernice sulla parete di casa che l’innalzamento della temperatura nel Sud Italia, ad esempio. Ecco, in questa nostra reazione scomposta, c’è proprio un esempio di scuola: a tutti noi conta di più quanto avviene nel cortile di casa nostra, che di tutti i gravi pericoli che corre la nostra bellissima e indifesa casa comune. Conta più il portone di un palazzo che il pericolo di crollo di tutta l'impalcatura che abbiamo messo su da che esiste l'uomo.  Ci lamentiamo dell’acqua servita alla buvette, non ci pare frizzante al punto giusto, quando l’Onu ha messo nero su bianco che il 40% della popolazione mondiale avrà nei prossimi anni problemi seri con l’acqua, tanto che un bambino su quattro rischia di morire di sete. Ve la siete dimenticata la siccità di questa estate in Italia? E’ solo l’inizio. Il 25% del nostro territorio è a rischio desertificazione.

Pertanto non prendetevela con i ragazzi. Hanno sbagliato, certo. Ma la risposta non è né un processo per direttissima, né una pena esemplare. La risposta è se ci mettiamo davvero a lavorare per invertire un percorso che ormai sembra alla fine, quello della distruzione delle nostre risorse. Ma ci avete parlato voi con questi ragazzi? Hanno idee chiarissime, molto più delle nostre. Uno degli “imbrattatori” ha spiegato: “E’ inutile devastare l’Adriatico per cercare gas, ce n’è pochissimo e non risolverebbe i problemi dell’Italia. Piuttosto, quello che chiediamo è che il governo si impegni ad attivare altre dieci centrali ad energia alternativa entro quest’anno”.

Ecco, ci fosse stato uno che si è alzato per dare una risposta così. Ma non c’è stato. E no, non c’è stato.

Giacomo Di Girolamo