Matteo Messina Denaro, lo scorso 2 gennaio era ad Alcamo. Perchè? Apparentemente per delle cure o delle visite, si sarebbe trovato al reparto di chirurgia dell’ospedale. Questo almeno è ciò che emerge dall’esame della tessera sanitaria di Andrea Bonafede, l’uomo che gli ha prestato l’identità e che ieri è stato arrestato con l’accusa di essere organico a Cosa nostra.
Ma perché ad Alcamo? Eppure di ospedali più vicini a Campobello di Mazara, la cittadina dove il boss ha trascorso l’ultimo periodo della sua latitanza, ce n’erano tanti. C’era Castelvetrano, Mazara del Vallo, Marsala... Strutture con reparti di chirurgia forse più gettonati di quello di Alcamo.
Invece no, Matteo Messina Denaro sceglie Alcamo, che non è (o almeno, non era) un ospedale qualsiasi. Anzi, proprio il suo reparto di chirurgia ha una storia terribile, legata ad un morto. E’ lì che, nel 1988, una persona perse la vita. Non un caso di malasanità. Ad ucciderlo furono dei colpi di pistola.
Si trattava di Rosolino Filippi, picciotto della vecchia mafia alcamese. Era stato sopposto ad un esame della vescica, una cistoscopia, ma al posto dell’anestesia locale o della sedazione, fu trattato con l’anestesia totale. Dopo l’esame, i killer entrarono in azione. Evidentemente qualcuno li aveva avvisati dell’avvenuto intervento. Un infermiere aprì la porta al commando di corleonesi, che entrò nella stanza esplodendo una serie di colpi col silenziatore che fecero passare il paziente dal sonno alla morte.
Accusato di aver aperto la porta ai killer (e di aver lasciato che silenziosamente sgusciassero via indisturbati) fu un infermiere, ex consigliere provinciale dell’Udc, che venne prima indagato, poi prosciolto e alla fine condannato, ma per altre ragioni. Ovvero, per aver fatto sparire la certificazione medica di un incidente sul lavoro, in modo da scagionare un imprenditore edile.
Ad eseguire la cistoscopia fu invece Baldassare Lauria che, secondo il pentito Armando Palmeri (che ha deposto al processo “Ndrangheta stragista”), sarebbe quel medico che avrebbe fatto incontrare Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo (del quale Palmeri era l’autista), con esponenti dei servizi segreti deviati nella tarda primavera del 1992, prima delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Lauria, oggi indagato per questa ragione, avrebbe disposto tre incontri in tre posti diversi della città. Uno nella casa di montagna del senatore Ludovico Corrao; il secondo a casa dell’imprenditore edile Michele De Simone; il terzo nella casa di Manlio Vesco, imprenditore alcamese che produceva birra a Palermo. Quest’ultimo sarebbe stato suicidato vicino allo svincolo autostradale di Alcamo.
Incontri che, secondo Palmeri, sarebbero serviti a capire se la cosca di Alcamo fosse stata d’accordo a partecipare al progetto stragista di Totò Riina. Vincenzo Milazzo si mostrò contrario e i corleonesi, notoriamente poco inclini ad accettare critiche, lo uccisero. Poi fu uccisa anche la sua fidanzata Antonella Bonomo, forse strangolata proprio da Matteo Messina Denaro.
Ma Lauria, oggi anziano ed in pensione, non era soltanto il primario di chirurgia dell’ospedale di Alcamo. Sempre secondo il racconto di Palmeri, avrebbe anche fornito un suggerimento nell’ottica della strategia stragista: avvelenare un acquedotto.
Lo scorso 2 gennaio, Messina Denaro non si trovava certo nell’ospedale degli anni ’90. E’ vero, sono passati trent’anni, ma chissà… potrebbe aver parlato con qualcuno. Non solo di referti e di farmaci.
Egidio Morici