L'avanzata dell'intelligenza artificiale potrà essere di aiuto alle decisioni giudiziali? Questa è la domanda che da qualche tempo affiora nelle menti di chi aspirerebbe a una giustizia priva di indebite ingerenze, che a volte sembrano scivolare verso il consolidamento del potere, piuttosto che verso l'elevazione del compito sotteso a tale potere.
In effetti la giustizia giusta, in particolare quella penale, non avrebbe bisogno di passione, di giustizialismo o di garantismo, e nemmeno di essere ispirata da ideologismi o da correntismi, o da spirito vendicativo, e neanche da appartenenze a gruppi di potere, oggi definiti stakeholder o influencer, tutti elementi, questi, capaci di influenzare i convincimenti umani. Tale giustizia, infatti, dovrebbe essere frutto di un albero genealogico radicato esclusivamente sulla inconfutabilità delle prove raccolte per il superamento di ogni ragionevole dubbio sulla loro fondatezza, la quale rischia di essere inficiata spesso dall'intrusione di agenti inquinanti del tipo anzidetto, capaci di trasformare la giustizia nel suo contrario.
Situazione che si registra, per esempio, a causa della durata dei processi, prodotta pure dall'inadeguatezza dell'apparato organizzativo, la cui maggior parte si conclude con le assoluzioni. Questa innovazione tecnologica, pertanto, potrebbe essere di ausilio determinante per il giudice, potendogli consentire, con le opportune modifiche normative, di accertare, già "ab initio", la mancanza di una ragionevole previsione di condanna del presunto reo, prima, cioè, di esporlo al pubblico ludibrio, evitando, oltre i danni morali alla sua reputazione, anche quelli delle spese di giustizia, le quali, secondo i dati riferiti all'anno 2023, hanno gravato sul bilancio statale per oltre un miliardo di euro.
Michele Maggio