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13/03/2023 20:00:00

Giuseppe Cimarosa: "Resto a Castelvetrano per non dargliela vinta"

 "Resto a Castelevetrano per dargliela vinta. Il boss non l’ho mai visto eppure la sua presenza è stata “tanto vicina” da guastarmi la vita», sono queste le parole con cui Giuseppe Cimarosa, 40enne figlio di Rosa Filardo, cugina di Matteo Messina Denaro e Lorenzo Cimarosa, boss morto di cancro dopo che decise di collaborare con la giustizia, è intervenuto a Casal di Principe (Caserta), terra per decenni in mano alla camorra al convegno "Coraggio, gente!" organizzato per il 29esimo anniversario dell’omicidio di Don Peppe Diana.

Al convegno ci sono state due testimonianze civili, quella di Cimarosa e quella di Augusto Di Meo, presente quando Don Diana fu ucciso ma mai riconosciuto come testimone di giustizia. Al convegno ha partecipato anche Antonio D’Amato, magistrato ex Csm che tornerà come procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere.

Cimarosa parla poi delle donne con cui è cresciuto, la madre e la nonna. "Hanno rotto consuetudini e modi di pensare radicati, a differenza delle quattro sorelle di Messina Denaro, donne di mafia, penso a Rosetta arrestata pochi giorni fa, più spietate dei mafiosi». Il papà di Giuseppe, morto di cancro, fu arrestato due volte e divenne collaboratore di giustizia, facendo arrestare una delle quattro sorelle del boss, ma anche il fratello della moglie, Giovanni Filardo, fedelissimo del capo. «Per l’arresto di mio zio - racconta Giuseppe - mio padre fino all’ultimo si è scusato con mia nonna, ma lei gli ha sempre detto di non sentirsi in colpa. Mia nonna è stata “cancellata” dagli altri figli, così come mia madre da fratelli e cugini con cui erano cresciuti. Perciò sono loro la vera mia forza».

Cimarosa ricorda di come è cambiata la sua vita quando il padre decise di collaborare. «Nessuno - dice Cimarosa - veniva più al mio maneggio, mio fratello non riusciva a trovare lavoro, poi alla fine lui ha ceduto e se n'è andato al Nord, dove ha moglie e figli. Io sono rimasto, ho denunciato le intimidazioni, dalle intercettazioni è emerso che tanto alcuni consiglieri comunali si auguravano la mia morte così come i mafiosi volevano darmela. Eppure, Messina Denaro non ha mai dato l'ordine, ma poi ho capito perché: era latitante a pochi passi da noi e non serviva alzare un polverone uccidendomi, tanto ci stavano già pensando i concittadini a fare terra bruciata attorno a noi». Cimarosa denuncia anche di essere «vittima» della legislazione antimafia, visto che a causa del padre ha subito la confisca di prevenzione dell’abitazione in cui vive e da un anno e mezzo pesa su di lui un’ordinanza di sgombero.

«Ma non lascio la casa, stiamo vedendo con gli avvocati come risolvere, ma lo Stato dovrebbe intervenire modificando la legge e comunque distinguendo caso per caso».

Cimarosa racconta della visita fatta ad otto anni con padre, madre e nonno a casa di Rosetta Messina Denaro per l’arresto del marito Filippo Guttadauro. In quella occasione iniziò a prendere coscienza della «mafiosità» della sua famiglia. «Rosetta era davanti al camino e neanche si girò per salutarci, le altre due sorelle Bice e Patrizia presero da parte mia madre, considerata già allora la “strana della famiglia” perché lavorava come infermiera, la portarono fuori e le dissero di non farsi più vedere.

L'altro aneddoto a 15 anni quando il padre fu arrestato e  l'altro quando vide il film I Cento Passi sulla storia di Peppino Impastato. «Cultura mafiosa - conclude Giuseppe Cimarosa - è anche l’arroganza di sentirsi dalla parte del giusto. Dalle ultime intercettazioni, emerge che Messina Denaro si crede il salvatore della Sicilia. Ma ha solo rovinato la nostra terra. Il suo arresto non basta, perché vanno arrestati i colletti bianchi, ovvero i professionisti che lo hanno aiutato».