In Sicilia si respira un’aria pesante. E non si tratta di una metafora. L’inquinamento da polveri sottili Pm 2,5 è passato dal 50 per cento del 2020 al 66 per cento del 2021. Un peggioramento di ben 16 punti percentuali in un solo anno. Numeri che incidono negativamente sulla media delle Isole (dal 37 al 42 per cento), avvicinandole un po’ di più alle percentuali di inquinamento registrate al Sud (64 per cento), Centro (56 per cento) e Nord (89 per cento). Sono i dati contenuti nell’ultimo rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) realizzato da Istat, nel capitolo dedicato all’ambiente. Il report valuta anche altri parametri ambientali, dalle perdite nelle reti idriche alla copertura artificiale del suolo, fino alla depurazione. Per la Sicilia i dati risultano in peggioramento in tutte le categorie, come emerge anche dal grado di “soddisfazione ambientale”. La quota di isolani contenti dell’ambiente in cui vive non raggiunge il 65 per cento, dato tra i più bassi in Italia insieme alla Campania (58,6 per cento), e molto distante da quelli di Trento (88 per cento), Bolzano (87 per cento) e Friuli-Venezia Giulia (85 per cento), le regioni dove i cittadini sono più soddisfatti.
Pm 2,5, dalle stelle alle stalle
Il parametro in assoluto più negativo, come detto, è quello dell’inquinamento atmosferico. In 66 casi su 100 le misurazioni effettuate dalle stazioni ambientali della Sicilia hanno superato il valore di riferimento definito dall’Organizzazione mondiale della sanità (dieci microgrammi per metro cubo). Nel 2020 il numero delle stazioni sopra la soglia si era fermato a 50, uno dei dati migliori in Italia. Se l’Isola fa male sulla qualità dell’aria, c’è anche chi migliora. Ad esempio la Sardegna, scrive Istat, “ha storicamente valori bassi dell’indicatore”, e nel 2021 “favorevoli condizioni meteo-climatiche alla dispersione degli inquinanti hanno fatto registrare un ulteriore miglioramento (dal 30,3 per cento al 6,1 per cento)”. Il dato siciliano si inserisce in un quadro negativo per il Paese. L’Italia infatti “è oggetto di procedure di infrazione a causa del ripetuto superamento dei limiti di Pm 10, No2 e Pm 2,5”. Quanto alla Co2 “nel 2021 risalgono le emissioni, raggiungendo il valore di sette tonnellate per abitante, recuperando, in parte, la riduzione registrata nel 2020 per effetto del lock-down”. I dati delle singole regioni non sono disponibili.
Metà dell’acqua siciliana va sprecata
Altro capitolo molto critico per la Sicilia è quello delle perdite idriche. Più del 52 per cento dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione va perduta, a causa della condizione delle tubature. Un problema che, come raccontato da FocuSicilia, costringe molti imprenditori agricoli a ridurre le superfici coltivate, con seri danni a livello economico. Sulle perdite idriche l’Isola è in “buona” compagnia, soprattutto nel Mezzogiorno. Le perdite maggiori, si legge nel rapporto, si registrano “in Basilicata, dove il 62,1 per cento dell’acqua è persa dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, seguono Abruzzo (59,8 per cento) e Sardegna (51,3 per cento)”. A livello nazionale, “in nove regioni le perdite idriche distribuzione sono superiori al 45 per cento, e in circa una regione su quattro le perdite sono inferiori al 35 per cento”. Lo spreco d’acqua non è senza conseguenze, conferma Istat. “Le perdite generano importanti ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, soprattutto per i sempre più frequenti episodi di scarsità idrica”. Una “grave inefficienza”, diffusa in tutto il Paese ma in particolare “nella fascia appenninica e nell’Italia insulare”.
Depurazione, ancora tanto da fare
La Sicilia è osservata speciale anche sulla gestione delle acque reflue urbane. Più del 13 per cento dei Comuni non possiede infrastrutture per la depurazione, “essenziali per la salute pubblica e per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranee”. Anche in questo caso la situazione riguarda tutto il Paese. “L’assenza del servizio pubblico di depurazione coinvolge 296 comuni e 1,3 milioni di residenti, dato in calo rispetto al 2018 (meno 13 per cento di comuni, meno 19 per cento di residenti)”. Il problema è più grave al Sud, dove spesso gli impianti sono “sotto sequestro, in corso di ammodernamento o in costruzione”. Dei Comuni che non dispongono di infrastrutture per la depurazione, “il 67,9 per cento è localizzato nel Mezzogiorno (soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, coinvolgendo rispettivamente il 13,1 per cento, 5,3 per cento e 4,4 per cento della popolazione regionale)”. Particolarmente a rischio le aree marittime. “Dei 296 comuni privi del servizio di depurazione 67 si trovano in zone costiere, per lo più in Sicilia (35), Calabria (15) e Campania (sette), dove complessivamente risiedono circa 500 mila abitanti”.