Ma sì, fatemi scrivere qualcosa sull’anniversario della strage di Capaci. Ma come, qualcuno obietterà, oggi? che è già metà giugno? Non ci potevi pensare una settimana prima, dieci giorni fa, che adesso noi si parla d’altro?
No, ci penso adesso che non ci pensa più nessuno, che sono terminate le celebrazioni, anche quest’anno, di quel 23 maggio dell’ora e sempre. Che poi sono state celebrazioni tristi, quelle per Giovanni Falcone e co., perché era il trentunesimo anniversario, e i numeri primi nella retorica delle commemorazioni non sono mai popolari. L’anno scorso sì che era bello: 1992-2022, l’ho letto dappertutto, insieme a «per sempre con noi», «per non dimenticare». Solo che il per sempre non esiste neanche in amore, pensa te nell’antimafia. E poi, abbiamo già dimenticato dove eravamo ieri, figurati il resto.
Sì, vorrei scrivere qualcosa su questo anniversario, sull’aria malinconica che c’era in queste manifestazioni in tono minore, con sindaci, politici, militanti, dirigenti, influencer e testimonial che si guardavano per dire, e adesso? Chi ci arriva al qurantennale? O magari, un po’ prima, al trentacinquesimo? E come ci arriviamo, soprattutto? Qui bisogna inventarsi qualcosa. E infatti a Palermo sono riusciti a trasformare il corteo in un pomeriggio ad alta tensione, con la polizia che ha caricato le persone che manifestavano. Le manganellate ai cortei antimafia. Ecco, questa mancava.
A proposito. Nella mia città, Marsala, al sindaco, Massimo Grillo, qualcuno avrà spiegato che c’è una sorta di tara che garantisce l’impunità ogni tot di manifestazioni antimafia che si organizzano. Solo così si giustifica la quantità di incontri con magistrati, giornalisti, scrittori, tutti rigorosamente antimafia, organizzati nel 2022. E le intitolazioni, soprattutto. Piazze, larghi, vie, rotonde, un intero quartiere popolare, il rione Sappusi, che è un grande luogo di spaccio a cielo aperto. Magari erano convinti che i nomi dei poliziotti della scorta di Falcone o di Borsellino aiutassero a reprimere il fenomeno. È finita con le targhette delle vie scollate dopo un po’, come fragili post-it, mentre il crack continua a girare bellamente.
E quindi, sì, mi fa tenerezza il mio Sindaco di Marsala che ancora, nel 2023, organizza le manifestazioni per il «trentennale delle stragi», vorrebbe che non finissero mai, e l’altra volta sono entrato nella sua stanza e c’erano nello scaffale tutti i libri presentati quest’anno, le biografie, gli illustri saggi, sempre a tema mafia, antimafia e dintorni, ed erano messi con la copertina in evidenza, nel modo opposto, insomma, che tutti conosciamo su come si mettono i libri in una libreria, quasi a voler creare uno scudo. I libri a questo servono, ormai, non a essere letti, ma a essere esposti, come un altarino (e a proposito di libri, ne è uscito anche uno dove c'è a bella posta una foto dell'allora giovane democristiano Massimo Grillo con l'allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino. Foto che non è propriamente una foto .... : si vede chiaramente che, quello pubblicato, è un fermo immagine di un video di un RVM d'antan ... vedere per credere, anzi non credere ...)
A Castelvetrano è stata esposta anche la teca che contiene i resti della Quarto Savona Quindici, l’auto di scorta del giudice Falcone. La vulcanica Tina Montinaro, vedova del caposcorta Antonino, gira l’Italia con questo cubo trasparente, portandola come testimonianza della violenza mafiosa.
La teca con i rottami dell’auto è stata collocata nella piazza centrale della città, che è la città dei Messina Denaro, per un paio di giorni, con le scuole in pellegrinaggio tipo La Mecca, e le autorità e loro accompagnamenti vari. Pure il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è arrivato, la prima mattina, ma il fatto è che poi, verso le 13, è andato a pranzo, ed è rimasto in piazza tutto l’apparato di sicurezza, i carabinieri, i poliziotti, si sono fatti tutti un po’ più rilassati, come quando aspetti la campanella che svuota la classe, e allora hanno cominciato a farsi i selfie davanti la teca dell’auto, uno, due, tre foto ricordo e ho pensato a Padre Puglisi, anzi al Beato Padre Puglisi, che non ha pace neanche da morto, gli hanno tagliato dei pezzetti, e le teche con i «frammenti sacri» del suo corpo girano per la Sicilia, e la gente le bacia, le tocca con il fazzoletto bianco, chiede una grazia, la grazia dell’antimafia. Magari si fanno anche loro un selfie. E con questi selfie, come il sindaco di Marsala, si fanno un altarino, da qualche parte.
Ma, dicevamo di Piantedosi, che è arrivato a Castelvetrano, poi a Palermo, per dire una cosa banale: «La mafia è cambiata». È il nuovo refrain, dato che non si può più dire: «Stiamo facendo terra bruciata intorno a Messina Denaro», ora che l’hai preso davvero. La mafia è cambiata. Ma quando mai. È sempre la stessa. È tornata quella di prima, semmai, ma da tempo, dopo l’ultima strage, roba di un’era mafiologica fa. Ed è sempre quella, la mafia, silenziosa, invisibile, borghese.
Forse è questa la condanna che dobbiamo scontare, mi dico.
Ogni anno ricordare Capaci.
Ogni anno sentire come una fitta nel cuore.
Ogni anno manifestare.
Ogni anno ascoltare ministri dire sempre le stesse cose.
Ogni anno elevare altarini.
Si è persa un’occasione, in questo anniversario del trentunesimo. Perché bastava un po’ di impegno per accorgersi che era in realtà il trentesimo più uno, che si celebrava. Perché è il primo anno che ricordiamo la strage di Capaci, ma con Messina Denaro dentro, il più pericoloso dei latitanti, l’ultimo dei Corleonesi, e questo ci dovrebbe spingere a cambiare tutto, anche il nostro modo di ricordare e commemorare, ed invece sembra quasi a volte – perdonatemi – che ci manca più Messina Denaro che Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, a noi altri, perché fin quando il boss era libero e fuori, noi si aveva l’alibi per parlare del grande cattivo che muove i fili, del male che si aggira per la Sicilia e l’Italia, per toccare i tasti facili della caccia all’uomo. E adesso che il grande cattivo è dentro, nemici non ce ne sono più, e siamo orfani. Ci resta solo la memoria, che è una brutta bestia quando è lasciata solo alla nostra responsabilità, quando non abbiamo più qualcuno con cui prendercela.
Si poteva dire: sono i 30 anni+1 dalla strage di Capaci, con l’arresto di Messina Denaro siamo all’anno zero. Aboliamo allora la parola antimafia, cominciamo a parlare di responsabilità. Aboliamo le manifestazioni con le scuole intruppate e torniamo a farli studiare, questi giovani, che non sanno nulla, perché nulla gli insegniamo. Seppelliamo i resti dei nostri morti. Torniamo a considerare la memoria come qualcosa in movimento perenne, di vivo, una specie di pianta che va nutrita, e non un fossile da museo, un ritratto da appendere alle pareti, un oggetto di modernariato per fare bella figura nei nostri salotti.
Invece siamo tornati nel loop, nella comfort zone, solo che adesso è più triste. Ci vuole un pensiero sovversivo, per cambiare la lotta alla mafia, oggi, un atteggiamento diverso, radicalmente opposto, un ribaltamento del tavolo. Abbandonare soprattutto la retorica della speranza, della terra che cambia. Ecco, l’ho detto. «Lasciate ogni speranza o voi che è entrate» è l’iscrizione che Dante Alighieri trova all’ingresso dell’Inferno, nella sua Commedia. Mi ricordo che nel mio manuale di letteratura, al liceo, la nota di testo parlava di una «terrificante scritta».
Non so, ma a me, nell’anno 30+1, questa frase non mette paura. Mette pace. «Lasciate ogni speranza o voi che entrate» la vorrei vedere scritta all’ingresso del Paradiso. Perché la speranza è un inganno, in nome della speranza di una Sicilia libera dalla mafia in questi anni sono stati compiuti anche i più gravi misfatti. E allora mi piacerebbe che un giorno quest’isola mia fosse un paradiso, cioè un luogo dove non c’è bisogno di speranza, la puoi lasciare all’ingresso, perché già c’è tutto: le strade che non crollano, il lavoro, le scuole con le mense, persino i treni (in quel caso l’unica speranza sarebbe quella che arrivino in orario, anziché, come ora, che magari intanto arrivino).
«Lasciate ogni speranza o voi che entrate», non pensate che sarebbe un bel manifesto per una nuova antimafia? Lasciate ogni speranza, le ideologie, gli slogan. State semplicemente nelle cose, vivete il quotidiano, senza fretta. Siate oggi, qui, attenti, sereni, responsabili, per il trentunesimo anniversario, come per il trentaduesimo, per il 23 maggio, come per il 24, e il 19 e il 20 e il 21 luglio, e anche il 30 febbraio se dovesse esistere, un giorno, lasciate anche lì che non entri con voi la speranza.
Ma poi speranza di che? Che arrivino i giudici, i buoni, la cavalleria, i martiri, l’esercito, gli eroi, le vittime, i sacrificati, i «fautori della svolta», i preti-coraggio, i giornalisti scortati, le reliquie, le teche, i ministri? Costruitelo voi, questo benedetto cambiamento che volete vedere nel mondo.
Giacomo Di Girolamo