L’accusa di rapina è stata derubricata in tentata rapina, ma la condanna è scattata ugualmente. Il Tribunale di Marsala (presidente del collegio: Alessandra Camassa; giudici a latere: Pizzo e Alagna) ha, infatti, inflitto quasi vent’anni di carcere alle quattro persone di Vita processate per lesioni personali e rapina, con l’aggravante di avere favorito Cosa Nostra.
A sei anni è stato condannato il 35enne Vito Musso, figlio del capomafia di Vita Calogero Musso, che attualmente sta scontando una condanna all’ergastolo. A cinque anni, invece, è stato condannato il 54enne Giovanni Pipitone, a quattro il 48enne Vito Leone, a tre anni e nove mesi Giuseppe Pipitone, anch’egli di 48 anni.
I danni alla parte civile saranno liquidati davanti al giudice civile. Il pm della Dda Francesca Dessì aveva chiesto quasi trent’anni di reclusione: otto anni per Musso, sette anni ciascuno per gli altri tre.
Secondo l’accusa, i quattro, in concorso, il 5 marzo 2019, a Vita, “mediante violenza alla persona e minaccia, s’impossessavano delle chiavi dell’autoambulanza condotta da Enrico Perricone, sottraendole a quest’ultimo che le deteneva in quanto incaricato del servizio di soccorso sanitario in occasione di una manifestazione. Fatto aggravato perché commesso contro una persona incaricata di pubblico servizio”. Nella colluttazione, il Perricone, 46 anni, costituitosi parte civile, riportò un “trauma distorsivo al ginocchio destro”, con prognosi di guarigione di 20 giorni. La presunta vittima, residente a Vita, è stato presidente di un’associazione operante in campo sanitario che quattro anni fa ha anche subito un tentativo di furto. Non è stato mai realmente accertato perché gli furono sottratte le chiavi dell’ambulanza. Le indagini della Procura di Marsala (poi, per competenza, il fascicolo passò alla Dda) hanno fatto intuire che si trattava di un atto intimidatorio eseguito da mafiosi locali. Ma per la difesa (avvocati difensori: Francesco Salvo, Carlo Ferracane, Piero Di Vita e Paolo Paladino) sono state “numerose le contraddizioni della parte offesa” e l’aggravante mafiosa non sussisterebbe in quanto si è trattato di “un fatto isolato”. Subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza, l’avvocato Piero Di Vita ha commentato: “E’ una sentenza ingiusta, che senz’altro appelleremo”.