40 anni fa Palermo diventava Beirut.
Il 29 luglio 1983 un'autobomba in via Pipitone Federico fece saltare in aria il capo dell'ufficio Istruzione, Rocco Chinnici, due uomini della sua scorta e il portiere dello stabile in cui viveva. Con lungimiranza e grazie al lavoro di squadra mise le basi al Maxiprocesso, ma capì anche prima di altri la necessità di sensibilizzare studenti e società civile contro Cosa nostra
Ma c'è un aspetto particolare di Rocco Chinnici: aveva capito tutto. Sulla mafia, la droga, i giovani siciliani che morivano. Lo racconta in un bellissimo libro, "La notte della civetta" (pubblicato da Zolfo) Piero Melati. "Falcone guardava la mafia verso l’alto: le banche svizzere, i riciclaggi, gli equilibri interni alle “famiglie”, i legami tra boss e grande potere. Seguiva gli assegni. Chinnici era ossessionato dalla strada. Non gli sfuggiva mai il collegamento tra quei livelli più sofisticati studiati da Falcone e quel che si consumava nel giardino di casa della città. Ma proprio per questo a colpirlo non era tanto l’albero avvelenato, ma i suoi frutti mortali: le fontanelle, le siringhe, i ragazzi che si bucavano".
Chinnici comprese pienamente la portata del capovolgimento sociale della narcoeconomia. «Aveva chiara la misura dell’aumento geometrico di quella peste - dice Melati - Lo ascoltavano con insofferenza, lo accusavano quasi di non parlare d’altro. È stato l’unico a dire con coraggio che le vittime di overdose erano vittime di mafia. Ha assistito e reagito al massacro di una generazione, quella delle occupazioni universitarie del ’77. Questo dolore riguarda tutti ma non lo codifichiamo in nessun libro di storia. È stato un effetto del trasferimento dei laboratori di Marsiglia, che furono nulla rispetto alle raffinerie di droga in Sicilia».
Di questo ed altro abbiamo parlato proprio con Piero Melati.