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09/08/2023 06:00:00

A Selinunte i ristoranti chiusi sono tre, ecco come funziona un'interdittiva antimafia

 I ristoranti chiusi a Marinella di Selinunte sono tre. Oltre a “Mamma Mimma” e al “Baffo’s Castle”, di cui abbiamo già parlato, c’è anche  il “Lido Azzurro Baffo’s”.

I primi due fanno capo alla S&S srls, il cui amministratore unico è Stefania Triolo, figlia non riconosciuta di Giuseppe Fontana, detto Rocky, di cui ci siamo occupati in diverse occasioni su Tp24 (qui un nostro articolo). Il terzo invece fa capo alla Lido Azzurro srl, il cui amministratore unico è il fratello di Rocky, Natale Fontana.

 

Anche la sua società è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia da parte della prefettura di Trapani, che ha comportato la revoca della S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) di subingresso da un’altra società per affitto di ramo d’azienda, concessa dal comune di Castelvetrano nel 2020. Anche la richiesta di rinnovo e voltura della concessione di suolo pubblico adiacente il ristorante-pizzeria, presentata dallo stesso Natale Fontana lo scorso 26 luglio, è stata rigettata.

 

La richiesta di informativa alla Banca Dati Nazionale Antimafia era stata fatta per entrambi, l’una il 4 aprile del 2022 e l’altro il 30 settembre 2020, con la concessione delle relative autorizzazioni.

Queste però sono state date sotto condizione risolutiva. Vuol dire che qualora fosse  sopraggiunta una documentazione antimafia interdittiva, l’amministrazione comunale sarebbe stata obbligata a revocarle. Ed è quello che è successo alle due società rappresentate dalla figlia e dal fratello di Giuseppe Fontana.

I locali sono molto noti e in tanti si sono chiesti quali certezze inequivocabili fossero emerse per farli chiudere. Lo stesso Giuseppe Fontana, che avrà avuto modo di leggere il testo dell’interdittiva, si è chiesto attraverso alcuni post sui social come possano essere state revocate le concessioni ad una amministratrice che aveva tutto in regola. Chiedendosi anche come si possa asserire che “io eserciti un potere criminale condizionante, senza alcuna prova certa”.

 

In realtà la prova certa non serve. Non si tratta di una sentenza di condanna. L’interdittiva antimafia si basa infatti su una pluralità di elementi indiziari, dai quali si possa dedurre un collegamento con la mafia. Non è detto che questo legame debba consistere in una partecipazione attiva o passiva alle dinamiche criminali, è sufficiente la potenzialità, ovvero il timore che vi possa partecipare.

E’ una misura preventiva volta ad impedire rapporti contrattuali e concessori tra la pubblica amministrazione e le imprese esposte al pericolo della contiguità con la criminalità organizzata.

 

Ma quali possono essere questi elementi indiziari di cui si parlava? Possono riguardare anche indagini di polizia o perfino procedimenti penali molto datati in cui si è stati assolti.

In un’interdittiva, gli elementi raccolti forniscono l’indicazione del pericolo dell’infiltrazione mafiosa e, nello stesso tempo, l’esigenza di preservare l’attività contrattuale e soprattutto quella delle concessioni della pubblica amministrazione, da commistioni che possano lederne la legalità.

Insomma, l’interdittiva non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di determinati indizi in base ai quali si possa ipotizzare l’esistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose. Oppure che queste possano comportare un condizionamento.

 

Ecco perché ha poco senso pretendere prove schiaccianti di colpevolezza. Inoltre, in giurisprudenza si è più volte sottolineato come la valutazione del rischio di inquinamento mafioso debba basarsi sul criterio del “più probabile che non”: una sorta di 50% più uno, profondamente diverso da quello penalmente rilevante , che invece è superiore al 90%. Anche la relativa valutazione del prefetto può essere sindacabile solo se manifestatamente illogica, irragionevole e in travisamento dei fatti.

Ad ogni modo, se è certamente vero che in casi come questo a farne le spese sono sempre i dipendenti con le loro famiglie. Altrettanto vero è che la revoca delle concessioni da parte dei funzionari del comune e del sindaco, non sono delle scelte personali e che ai destinatari dell’interdittiva non rimane che il ricorso al Tar.