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29/08/2023 06:00:00

Il caso Bucaria / 1: "Sei capace di ammazzare mio cognato?"

 Un imprenditore che si mette d’accordo con un impiegato del Comune di Trapani per truffare sui lavori di riparazione della disgraziata condotta idrica della città.

Lo stesso imprenditore che si "converte" alle ragioni dell'antiracket. Fa denunce, diventa per molti un simbolo. Salvo poi ridurre fraudolentemente le sue aziende sul lastrico, e, messo all'angolo, rubare i soldi al cognato, fino ad infilarsi in un vicolo cieco. 

Una pista investigativa ignorata per quasi dieci anni.

Ed i soliti, immancabili, “mascariamenti”.

C’è questo e altro tra le pagine delle motivazioni della sentenza che, lo scorso Febbraio, ha visto la condanna di Matteo Bucaria, imprenditore trapanese, a 19 anni di reclusione per tentato omicidio. In particolare, Bucaria ha ordinato l’omicidio, non riuscito, del cognato, Domenico Cuntuliano, nel 2013. L’ordine fu dato a Gaspare Gervasi, che è stato condannato a 12 anni, e per anni si è tenuto il segreto dentro, sulle vere ragioni di quel gesto, nato da una semplice domanda dell’imprenditore al suo amico di vecchia data, e da una risposta altrettanto diretta.
“Sei capace di ammazzare mio cognato?”
“Con i soldi si può tutto”.

L’arresto, il processo e la condanna di Bucaria hanno creato molto scalpore a Trapani. L’imprenditore è molto noto, perché per anni ha rappresentato uno dei “paladini dell’antimafia” trapanese. Con le sue dichiarazioni su pizzo ed estorsioni ha portato a diverse indagini. Ma qualcosa da nascondere, eccome, ce l’aveva, e non aveva mai realmente spezzato il filo con personaggi vicino alla mafia, e con la sottocultura mafiosa, fatta di omertà e soggezione.

***

Per anni Matteo Bucaria ha frequentato le stanze della Procura di Trapani, era molto vicino, anche con rapporti stretti di amicizia, a diversi uomini della polizia giudiziaria. Sembra che quasi nessuno, in questi anni, si sia accorto di nulla. Ma a Trapani se ne parlava, eccome, di quel tentato omicidio. Alcuni sapevano, insomma, come spesso accade, tranne chi avrebbe dovuto sapere. Gaspare Gervasi si è preso la condanna irrevocabile, nel 2014, senza che nessuno abbia detto bic.

A partire da quel 30 Marzo del 2013, il giorno del fattaccio.
Siamo in piena campagna a Xiggiare, Domenico Cuntuliano, il cognato di Matteo Bucaria, viene raggiunto da due colpi di fucile all'addome, sparati a breve distanza. Eppure riesce a chiamare il 113. Dice che è a Guarrato, che è ferito.
E che gli ha sparato un suo conoscente, Gaspare Gervasi.
Arriva la polizia. Cuntuliano per fortuna è lucido, nonostante sia pieno di sangue, anzi, già subito dichiara cosa è successo: ha incontrato a Paceco per caso, davanti ad un bar, questo suo conoscente, Gaspare Gervasi. Era con la sua Fiat 500, bianca. Lo ha invitato a seguirlo, perché doveva parlargli. Arrivano in Contrada Xiggiare. Appena i due scendono, come nei migliori agguati, Gervasi gli spara con un fucile a canne mozze. Cuntuliano, ferito, riesce a mettersi in auto e a scappare.
Quando i poliziotti gli chiedono se avesse intuito il motivo del gesto di Gervasi, Cuntuliano risponde: non lo so.
Un conoscente arriva sul luogo del fattaccio e chiama Katia Bucaria, sorella di Matteo (che è giusto giusto fuori, all'estero, in gita a Praga)  che arriva sul posto, e che in tutta la vicenda avrà un ruolo particolare, come vedremo. Cuntuliano le racconta tutto. Lei chiama due poliziotti: Fabrizio Giacalone e Agatino Emanuele. Cuntuliano ripete tutto.
Gervasi viene fermato.
Cuntuliano sta male. Da Trapani, in prognosi riservata sulla vita, viene trasferito a Palermo.
Gervasi viene incastrato anche dalle perizie, dai vestiti trovati nel pozzo a casa della sorella.
Cuntuliano, nei giorni successivi, conferma tutto: l’incontro casuale, l’invito a seguirlo, lo stop in aperta campagna , due spari senza ragione, con Gervasi che gli urla “Miserabile!”, e lui: “Ma io non ti ho fatto niente!”.

Gervasi viene processato, e condannato.
Tuttavia nessuno si prende la briga di accertare il movente. Perché l’ha fatto? Gervasi non parla. Nessuno dice nulla. Le indagini si fermano all’individuazione del colpevole, che si prende 12 anni e 8 mesi di reclusione.

Come è stato possibile? Ne parleremo domani.