Stiamo raccontando in questi giorni su Tp24 il caso del tentato omicidio, ordinato dall'imprenditore Matteo Bucaria, nei confronti del cognato. I fatti sono avvenuti nel 2013. Bucaria, però, è stato condannato solo pochi mesi fa. Per anni, infatti, non si sapeva nulla del suo coinvolgimento. O meglio, qualcuno sapeva, ma solo nel 2019 le indagini vengono riaperte.
E nel 2020 Bucaria verrà arrestato. Per dare nuovo impulso alle indagini è necessaria un’altra lettera anonima, che indica sempre Matteo Bucaria come mandante dell’omicidio del cognato. Il dirigente della Squadra Mobile di Trapani, Emanuele Fattori, riprende in mano il caso, le dichiarazioni, ai tempi, di tutti i protagonisti, riascolta le intercettazioni, e - chissà se qualcuno lo aveva fatto, probabilmente no - ricostruisce la situazione patrimoniale dei protagonisti della vicenda. Le intercettazioni che vengono riascoltate, in particolare, sono quelle del killer mancato, Gervasi, in carcere con i suoi familiari. E si capisce, chiaramente, che nasconde un segreto. Si poteva già fare luce sul reale movente del tentato omicidio anni prima. Perché Gervasi, anche se parlava in maniera criptica, diceva ai suoi familiari che dovevano stare tranquilli, perché anche se lui era in carcere, Matteo Bucaria avrebbe pensato a tutto per il loro sostentamento.
Gervasi aveva raccontato qualcosa all’ispettore Pellegrino, ed anche al suo primo avvocato, Galluffo, che - secondo quanto riportato nele motivazioni della sentenza- magari avrebbe pouto cercare di indurlo a confessare e a collaborare per avere tra l’altro uno sconto di pena. Gervasi stava per cedere, poi, invece, aveva preferito restare in silenzio, convinto che Matteo Bucaria avrebbe mantenuto comunque il patto di sostenere la sua famiglia quando lui era in carcere.
Solo che i patti non sono stati mantenuti. E questo ha spinto Gervasi, rinchiuso nel carcere di Augusta, a scrivere una lettera a Bucaria. E’ il 27 Giugno 2020. La lettera diventa famosa, perché, per l'accusa, è la prova regina dell’accordo tra i due. Gervasi, in pratica, ricorda a Bucaria i termini del loro accordo, e lo invita a dare una busta con mille euro, ogni mese, alla moglie.
Bucaria, in gravi condizioni economiche, si era approfittato della totale fiducia del cognato nei suoi confronti, che gli aveva affidato la gestione del patrimonio. Ma Cuntuliano perché aveva tutti questi soldi? Aveva ricevuto 620mila euro come risarcimento per un grave incidente stradale subito nel 2009.
Cuntuliano è fratello della moglie di Bucaria. La somma viene accreditata in un conto cointestato a Cuntuliano e a sua sorella (appunto, moglie di Bucaria). Vengono pagate 55mila euro di "parcella" all’avvocato Cavarretta, che, scelto da Bucaria (si conoscono da anni) ha seguito la pratica. Vengono trasferiti 135mila euro nel conto personale di Cuntuliano. E la restante somma, di fatto, resta nella disponibilità di Bucaria, che fa quello che vuole, con i soldi del cognato.
Già nel 2013 le intercettazioni in carcere tra il mancato killer Gervasi e i suoi familiari indicavano chi fosse il mandante dell’omicidio. Perché non è stata seguita questa pista? Eppure gli inquirenti avevano quel materiale.
Era tutto già spiegato: Gervasi che, per la sua cultura mafiosa, sceglie di non parlare. Che dice alla figlia, che lo va a trovare in carcere, di dire allo zio di farsi dare i soldi da Matteo Bucaria. Di evitare luoghi chiusi, per possibili intercettazioni. Di dirgli di non perdere tempo “se no la bottiglia si svuota”. Giorni dopo la scena si ripete. La figlia comunica di aver detto allo zio di parlare con Bucaria, ma lui si è sentito male per lo spavento, perché ha capito di cosa si trattava. "Non hanno i coglioni nessuno!” sbotta il detenuto. E dice alla figlia: “Dovete insistere!”. Magari coinvolgendo la zia Casimira, che ha a Guarrato il “Bar Sport” e che lo può fermare quando “quello” (Bucaria) va a prendersi il caffè. Oppure farlo chiamare dal cugino Giampaolo con la scusa della squadra di calcio: “Deve uscire mille euro al mese”. Il 30 Aprile, in un altro colloquio, dice poi alla figlia di riferire all’avvocato Galluffo e a Francesco Pellegrino, di non fare cenno di quello che lui aveva dichiarato. La figlia Anna avrebbe dovuto comunicare all'ispettore in quiescenza che suo padre non era in galera per mandare altra gente in carcere e voleva voler uscire a testa alta, anche scontando più anni: "Io devo uscire di qua a testa alta … non devo uscire… nascosto ... mi faccio due anni in più ... cinque anni … non me ne fotte niente...”.
Gervasi è preoccupato soprattutto per l’ex ispettore di polizia, perché dice che ha un conto in sospeso con Bucaria, che era stato socio di suo fratello Diego, in un ristorante poi fallito.
A Galluffo, che secondo Gervasi aveva intenzione di incontrare un magistrato della Procura, viene revocato il mandato. Diversa è la ricostruzione che fa l'avvocato Vito Galluffo a Tp24: "Non ho mai invitato Gervasi a collaborare, è falso. Sono stato io poi a lasciare la sua difesa, proprio perchè era impossibile seguirlo. Tra l'altro era difeso anche dalla nipote. Non è affatto vero, inoltre, che volevo sentire o parlare con qualche magistrato, perché non sapevo nulla dei retroscena della vicenda".
In quello stesso periodo, la voce del coinvolgimento di Bucaria nel tentato omicidio era arrivata a tutti - come commentano, intercettate, moglie e figlia di Gervasi -. Tutti, tranne, così sembra, chi avrebbe potuto indagare più approfonditamente.
Francesco Pellegrino aveva nel frattempo parlato con Castaldi (era in pratica lui la sua fonte confidenziale). E l'ufficiale dei carabinieri si era attivato per informare la Procura delle notizie apprese, tanto da rimanere anche lui meravigliato e sconfortato quando si accorge che, nonostante le segnalazioni sulla pista investigativa da seguire, non succede nulla: “Io quello che dovevo fare l’ho fatto … loro si devono vergognare a guardare in faccia me se non vanno avanti....non mi hanno fatto sapere più niente...ma io ho depositato tutto formalmente, poi quello che vogliono fare fanno …”
Il rapporto del maresciallo Castaldi, dunque, già nel 2013 puntava sul movente economico, sulla somma ricevuta da Cuntuliano dopo l’incidente, sul possibile ruolo di Bucaria come mandante dell'agguato.
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