Com’era? Ah, si. «Veniamo noi, con questa mia… a dirvi…». Ha creato molto clamore, ricevendo un giusto e doveroso coro di attestati di solidarietà, la lettera di minacce ricevuta qualche giorno fa dal ministro Roberto Calderoli. Una lettera, addirittura, della mafia (!), resa nota dal ministro degli Affari Regionali e le Autonomie, che l’ha anche pubblicata e commentata sui social: «Mi è arrivata una lettera in cui mi dicono testuale “Se non la smetti di attuare la politica di genocidio nei confronti del Sud, con la nostra potenza di fuoco noi ti uccideremo. Siamo la mafia, non ci costa niente uccidervi». Io non ho paura delle minacce, non mi spavento e vado avanti fino a quando non avrò realizzato l’autonomia regionale. E poi dopo andrò a fare il pensionato sul mio trattore». Bravo Calderoli.
Solidarietà bipartisan per il ministro. Però, a guardare bene, ci sono alcune cose che non tornano. E chi conosce un minimo la mafia, lo sa. La prima è l’espressione, che in effetti ha scatenato qualche ironia sui social: «Siamo la mafia». Ebbene, la mafia non si firma. Non si è mai firmata. La mafia, come prima regola, ha quella del segreto: sui suoi associati, e tra i suoi associati, ma, soprattutto sulla sua stessa esistenza. Negare la mafia è quello che hanno fatto i mafiosi, da sempre, compresi Totò Riina e Matteo Messina Denaro. La mafia si nega.
Proprio Messina Denaro, ad esempio, quando, nel suo interrogatorio in carcere, dice che lui non c’entra nulla con l’omicidio di Di Matteo e dice, testualmente: «In quella cosa io non c’entro, è stato Brusca a dare l’ordine di ucciderlo», sta, per la prima volta in assoluto, rivelando, in maniera implicita, l’esistenza di un “noi”, di un’organizzazione, cosa che la mafia (il nome “Cosa nostra” era segreto fino a circa quarant’anni fa) si è sempre guardata bene dal fare. «Siamo la mafia» sembra più una battuta da un film di Totò e Peppino, una citazione della mirabile scena in cui i fratelli Capone scrivono al fidanzato della nipote: «Salutandovi indistintamente, i fratelli Caponi, che siamo noi».
La mafia non si firma. E non minaccia a viso aperto. La seconda regola della mafia è infatti, con il silenzio, la soggezione. Sta anche scritto nell’articolo del codice penale che definisce la mafia, il 416 bis. Cito: «L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva». L’articolo è molto chiaro. La mafia fa paura già per il «vincolo associativo», e per la «condizione di assoggettamento che ne deriva». Non ha bisogno di annunciarsi, come l’arcangelo Gabriele nel famoso sketch della “Smorfia” di Massimo Troisi («Annunciazione! Annunciazione!»).
Sempre per restare su un tema d’attualità, Messina Denaro se ne stava tranquillo a Campobello di Mazara, negli ultimi due anni, senza bisogno di minacciare nessuno. «Facevo l’albero nella foresta», ha spiegato ai pm nel suo unico interrogatorio in carcere, a L’Aquila, dopo la cattura. Ed è quello che fa la mafia. La mafia, quando minaccia, è debole. Si espone. Anche perché poi non minaccia mai direttamente. Manda segnali, intimidazioni più o meno criptiche. A volte fa anche scena, ma sempre senza essere diretta, per il rispetto di quella «mezza parola che non si dice» che è l’architrave del pensiero mafioso.
È anche questo il modo in cui si esercita il potere. Nella mia vita ho ricevuto decine di lettere anonime, nessuna era mai diretta, didascalica. C’erano croci, polvere da sparo, mani nere. In quella più curiosa c’era l’estratto del mio (modesto) conto corrente in banca, con tutti i movimenti.
E poi c’è un terzo aspetto: il movente. La mafia manda una lettera anonima a Calderoli perché sta attuando un «genocidio» nei confronti del Sud. Il riferimento è all’autonomia differenziata, la contestata riforma che il governo sta cercando di portare avanti. Nonostante le polemiche, i dubbi nella stessa maggioranza, il ministro ha assicurato che la riforma diventerà legge a inizio 2024. Anzi, dopo le minacce ricevute è ancora più convinto della bontà del suo operato. Si tratta di una riforma che è molto contestata dalla Regioni meridionali, perché, a detta di molti attenti osservatori, aumenterebbe ancora di più il divario Nord-Sud nel Paese.
Quindi, che si fa? Scende in campo la mafia. Che dice a Calderoli: o ti fermi o ti ammazziamo. Anche in questo caso si registra una prima volta. Cioè è la prima volta nella storia italiana che la mafia (forse è per questo che si firma e si annuncia, allora, boh) decide di entrare nel dibattito politico italiano con una posizione (espressa, in verità, in maniera non molto articolata, ma di questi tempi, ci accontentiamo), contraria proprio all’autonomia differenziata.
Ironia a parte, la mafia non solo non si è mai occupata dei temi della politica (alla mafia interessa il potere, e stare accanto al potere, non la politica dei dibattiti e delle riforme), ma ci sono due cose da specificare.
La prima è che bisogna finirla con questa idea vecchia (che resiste, probabilmente, solo in certi ambienti vicino alla Lega) della mafia come forza che, in qualche modo, rappresenta e tutela gli interessi del Sud. Non è vero, non è stato mai vero. L’errore dell’impostazione nella lotta alla mafia, in questo secolo e mezzo, in Italia, è stato quello di considerarlo un problema squisitamente meridionale. Ma non è così: si, le mafie nascono al Sud, ma non per rappresentare i suoi interessi, ma perché in quelle condizioni di povertà estrema, nell’assenza dello Stato, più forte era il terreno fertile per la criminalità organizzata, che da subito, per dirla con Don Luigi Sturzo, ha avuto la «testa» a Roma.
No, la mafia non tutela gli interessi del Sud. Anche quando Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e gli altri, hanno in mente, nel 1993, di fondare un loro partito, Sicilia libera, lo fanno perché vorrebbero provare a eleggere direttamente i loro politici di riferimento, e copiano il modello, che in quegli anni si va affermando, della Lega Nord.
Tornando poi all’attualità, gli estensori della lettera anonima rivolta a Calderoli forse non sanno che la riforma dell’autonomia differenziata comporterebbe un aumento delle disparità Nord-Sud del Paese, dagli asili nido alle infrastrutture, dalla sanità al reddito pro capite. Se tanto mi dà tanto, sembra invece un assist per la mafia, che inserisce da sempre come un welfare state nero e parallelo, quando lo Stato non c’è. Niente sapendo, poi, che quel partito, Sicilia Libera, una sorta di Lega meridionale, un suo programma lo aveva, tra cui «l’attuazione della legge sulle autonomie locali, ed una sostanziale attribuzione alle Regioni del sud di un’autonomia tributaria». Vuoi vedere che erano solo indietro con i tempi, quei mafiosi che volevano fare politica, nel ’93?