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26/10/2023 06:00:00

La protesta degli agricoltori francesi parla anche di e con noi

 La protesta degli agricoltori francesi che, al confine con la Spagna, hanno distrutto ed incendiato interi carichi di vino e prodotti agricoli spagnoli, è il segnale preoccupante di un malessere sempre più diffuso tra gli operatori del settore. Non è un caso che quest’episodio avviene proprio all’indomani di una stagione di vendemmia catastrofica per la Francia, in cui siccità e costi di produzione sempre più elevati hanno inferto un duro colpo al settore vitivinicolo d’oltralpe. L’ingresso di un prodotto a basso costo come quello spagnolo è stato perciò vissuto come una minaccia e un ulteriore attacco ad un settore già in difficoltà. 

Ma quella dei viticoltori francesi è una protesta che non si esaurisce in Francia, perché in qualche modo si avvicina moltissimo alle problematiche vissute dai nostri agricoltori; problematiche complesse, in cui si intrecciano temi come la concorrenza sleale tra i paesi europei, il cambiamento delle abitudini dei consumatori e la crisi climatica. La protesta francese ha fatto discutere non solo per i suoi gesti plateali ma perché, in qualche modo, parla anche di e con noi.

Partiamo, ad esempio, dal tema della concorrenza sleale causata dall’importazione di prodotti agricoli dall’estero. Ne sentiamo parlare spesso dalle nostre parti a proposito del grano proveniente dal Canada, che viene preferito a quello italiano per il suo elevato contenuto proteico ma anche per il suo prezzo più basso. Oppure nel caso del settore olivicolo, che subisce la concorrenza spagnola e tunisina, una delle principali ragioni dei prezzi di mercato al ribasso e della capacità dei grandi imbottigliatori di mantenere prezzi al consumo sottocosto, che penalizzano i piccoli olivicoltori italiani. Se la campagna olearia del 2023 vedrà prezzi al produttore più alti dell’anno scorso lo si deve proprio alle difficoltà vissute dal settore olivicolo spagnolo che, a causa di un calo drastico della sua produzione, immetterà nel nostro territorio meno prodotto.

Parlando invece più specificamente di settore vitivinicolo, c’è un grande elefante nella stanza che in molti stanno ignorando: il progressivo cambio di abitudini dei consumatori, dovuto al fatto che si prediligono sempre di più cibi e bevande salutari e si riducono, di conseguenza, le occasioni di consumo di alcol, ritenuto dannoso (da qui le proposte di etichettatura che ne indichi la potenziale cancerogenicità). Nonostante il nostro sia tradizionalmente un paese di grandi bevitori di vino, i consumatori abituali si sono ridotti del 22% in 15 anni (Unione Italiana Vini, 2023); il calo più importante è tra le fasce più giovani, dove la contrazione si aggira intorno al 40%. Sono dati che costringono le aziende a ricercare nuovi mercati. Eppure l’internazionalizzazione non è per tutti: è necessario creare prodotti ad alto valore aggiunto, che possano ottenere certificazioni di qualità, che vengano inseriti in guide, partecipino ad importanti eventi fieristici e vincano rinomati concorsi. Si tratta di attività che hanno costi elevatissimi, che in molti rinunciano ad intraprendere, abbandonando le terre o investendo in altre colture. Inoltre, la riduzione dei consumi di alcol caratterizza sempre di più paesi che avevamo considerato molto promettenti, come il Regno Unito o gli Stati Uniti, in cui i più giovani sembrano sempre meno interessati a prodotti come il vino, preferendo le cosiddette hard seltzer, ovvero bevande in lattina, frizzanti e leggermente alcoliche. Riposizionarsi in questo contesto non è facile e chi sta all’inizio della filiera è il primo ad essere penalizzato.

Infine, la crisi climatica. Quello che la Sicilia ha vissuto negli ultimi anni, tra alluvioni, siccità e temperature che sfiorano i 50 gradi, è probabilmente la conferma più drammatica di ciò che in realtà si prevedeva da tempo: siamo una delle regioni italiane più colpite dai cambiamenti climatici. Un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente del 2019 mette nero su bianco previsioni molto preoccupanti per il settore agricolo italiano. Il rapporto ci dice che l’Italia è il paese europeo più colpito dall'aumento delle temperature e che questo determinerà una vera e propria mutazione agricola. Ben due terzi delle perdite agricole europee saranno concentrate nel nostro paese. La nostra superficie agricola dovrà affrontare lunghi periodi di siccità e gravi mancanze d'acqua, oltre che stagioni sempre più torride alternate ad imprevedibili alluvioni. La coltivazione delle olive si concentrerà in luoghi più idonei, verosimilmente in Francia e nella Penisola Iberica, mentre la crescita dell'uva diventerà sempre più complessa e la qualità del nostro vino, inevitabilmente, ne potrebbe risentire. A questo ritmo, i nostri terreni, iper-stressati per la mancanza di acqua e di precipitazioni, perderanno circa l'80% del loro valore entro 50-80 anni al massimo. 

Queste previsioni indicavano il 2030 come orizzonte temporale nel quale certi fenomeni si sarebbero manifestati e invece sembra che i problemi siano già qui, con un anticipo di circa 7-8 anni: molte di queste previsioni sono già realtà. Il territorio siciliano è in gran parte ad alto rischio desertificazione e la vendemmia siciliana del 2023 è stata disastrosa, principalmente a causa della peronospora e delle altissime temperature registrate nei mesi estivi, che hanno causato danni di produzione di oltre 351 milioni di euro. Nonostante i ristori, che si spera arriveranno, la preoccupazione per il futuro della nostra agricoltura è palpabile. 

Chi fa impresa agricola non può farlo nella speranza che madre natura sia clemente, che i consumatori riprenderanno a consumare o che i prodotti dei nostri vicini non entrino nel nostro paese. La libera circolazione delle merci è una conquista dell’Unione Europea ma, in uno scenario di settori direttamente concorrenti tra paesi vicini, andrebbe meglio regolamentata. Il sistema agricolo intensivo della Spagna, seppur rientri a pieno titolo in una logica di libero mercato, pone dei quesiti dal punto di vista ambientale ed economico che i paesi vicini non possono ignorare. A livello europeo, ci possiamo permettere, ad esempio, che un quinto del territorio spagnolo sia a rischio desertificazione, proprio a causa delle sue pratiche agricole? Possiamo accettare che prodotti coltivati con significative esternalità negative dal punto di vista ambientale, arrivino nel nostro paese a prezzi stracciati, costringendo i nostri agricoltori ad inseguire gli stessi, insostenibili, metodi agricoli?

Il problema non è la merce spagnola che entra nel territorio italiano o francese, ma la mancanza di un piano di azione condiviso e concordato con gli operatori del settore, in un contesto potenzialmente esplosivo. Quello agricolo è un settore chiave per l’economia siciliana, che ha bisogno, ora più che mai, di una seria programmazione e una visione d’insieme, che possa aiutare il nostro sistema ad affrontare le enormi sfide che si stanno presentando e che i nostri vicini francesi ci stanno indicando a gran voce.

Mariangela Figlia 
Specializzata in Economia del settore Agroalimentare e Studio del Consumatore. Appassionata di agricoltura, si occupa di ricerche di mercato per aziende che operano lungo la filiera e segue l’azienda agricola di famiglia.