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22/02/2024 06:00:00

Emergenza carceri in Italia: quante cose ci sarebbero da fare

 La politica sembra finalmente aver aperto gli occhi sull'emergenza carceri. Qualcosa non sta funzionando ed è evidente. Basti pensare che l'emergenza dura da trenta anni. Si può ancora chiamare emergenza?

La situazione, però, peggiora di giorno in giorno considerato che in Italia vengono incarcerate circa 400 persone al mese con punte “stagionali” di 500.

Quasi cinquemila persone all'anno entrano in carcere! Non è emergenza, è quotidianità sistemica.

I posti letto reali sono di appena 47.300 ( compreso i locali chiusi e quelli fatiscenti) mentre i detenuti ammontano già ad oltre 61.000.

Nell'ultimo ventennio o poco più abbiamo accumulato oltre 30.000 tra carcerati e sottoposti a misure coercitive della libertà personale riconosciuti poi innocenti dalla Corte di Strasburgo.

Siamo a quota 986.000.000 di euro da pagare a solo titolo di risarcimento danni oltre alle sanzioni dall'Europa.

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha già più volte sanzionato l'Italia per trattamenti carcerari disumani e degradanti, altro che riabilitazione e re-integrazione sociale, e nel 2023 ha imposto al nostro Governo di non superare il tetto massimo di 60.000 reclusi. Che in relazione ai reali posti disponibili sono anche troppi.

Si scopre che in realtà i detenuti in Italia sono già 63.000 e non circa 61.000 come credevamo ( considerato il numero di arresti mensili c'era da aspettarselo ndr), i posti letto non sono 51.000 coma propagandato ma meno di 47.000.

In pratica in questi anni si è propagandata l'idea della costruzione di nuove, moderne e confortevoli strutture penitenziarie, come il famigerato nuovo carcere di Marsala che ovviamente nessuno ha mai visto.

Così si sono limitati a chiudere le vecchie strutture e a distribuire i detenuti negli istituti rimasti aperti con l'aggiunta dei nuovi detenuti che mensilemnte e immancabilmente arricchiscono le nostre patrie galere.

Nelle cellette da due si è passati e tre persone, quelle a tre sono diventate da quattro e così via. Immaginate una stanzetta di circa quattro metri per quattro con tre, quattro brande ( a castello), tre quattro armadietti, un tavolor rettangolare, tre quattro sedie, compreso angolo cottura, pentolame vario e lavabo con annesso bagnetto e doccia. Lo spazio vitale si riduce a circa 50 centimetri quadrati a persona per tre, quattro pesone. O stai seduto o stai coricato, tutti insieme non ci si può muovere. Devi imparare a muoverti alla catanese, col loro dire “muoviti fermo”. Ci sono regole da rispettare, soprattutto quelle non scritte. Immaginate, quindi, di dover vivere per 365 giorni all'anno per altri sei, otto, dieci venti anni in 50 cm di libertà e sogni, regole e rabbia dove tutto diviene amplificato e condividerlo, spesso, con persone che nemmeno parlano la vostra lingua, africani, arabi, oltre il 40%, dell'est europa almeno il 10-15%, e, indipendentemente dalla nazionalità, presunta etnia, città o quartiere, ti ritrovi con tossici in crisi di astinenza e ragazzini di diciotto anni condannati a 20 di recluione che vedi andare in crisi epilettica. Per un detenuto che va in crisi epilettica ci vogliono due o tre compagni di cella per tenerlo fermo per evitare che si faccia male. Schiumano dalla bocca, svoltano gli occhi, si contorcono. Mentre due gli tengono le gambe uno cerca di infilargli in bocca un asciugamano o una maglietta, la prima cosa a portata di mano per evitare che si mozzi la lingua digrignando i denti.

Si potrebbe pensare ad un tremendo esorcismo ma è un problema reale.

 

La notte è un continuo susseguirsi di urla strazianti dei detenuti che crollano psicologicamente o già affetti da disturbi mentali e delle grida disperate dei compagni di cella che chiedono aiuto. Principalmente algerini, marocchini e tunisini, spesso non compresi (in tutti i sensi), si abbandonano ad atroci atti di autolesionismo. Sciolgono al fornello il rasoio di plastica per estrarne la lametta e con quella si accaniscono contro i loro stessi corpi riducendosi a farne scempio. Affondano la lama su braccia, gambe, pancia, petto e vanno in escandescenza anche contro i compagni di cella e la polizia penitenziaria. Schizzi di sangue ovunque e ovunque grida, violenza su violenza, traumi e cicatrici indelebili che non sono quelle sulle braccia o sulle gambe ma quelle che ti scavano dentro come solchi invalicabili quasi a porsi come un limite estremo tra ciò che diventi e la cosiddetta “società civile”.

 

In carcere si vive costantemente in una schizofrenica altalena tra momenti di alta tensione e momenti di totale solitudine, malinconia e depressione.

Dinanzi a questa catastrofica realtà vi si aggiunge, ma ne è anche un effetto, la tremenda tragedia dei suicidi in cella.

Se quasi un centinaio di suicidi in cella all'anno non bastano a far riflettere chi ci governa proviamo insieme a capire meglio cosa sta accadendo. Dal 1° gennaio 2024 ad oggi sono già 17 le persone che si sono tolte la vita in carcere.

La morte quale via di fuga. Morire piuttosto che continuare a sopportare.

Matteo, 23 anni, era rientrato in carcere in ritardo ma tornava da lavoro. Forse una solerte assistente sociale e un zelante giudice di sorveglianza hanno ritenuto opportuno revocargli la tanto agognata e meritata semi-libertà. Non sia mai che un detenuto non rispetti gli orari e se la legge accorda una certa tolleranza probabilmente bisogna anche punire per dare l'esempio! E Matteo l'esempio lo ha dato, impiccandosi alla grata.

Stefano, 26 anni, detenuto affetto da depressione, suicida.

Altro Stefano, 65 anni, in carcere in attesa di giudizio. Imspiegabili i motivi del gesto. Anche lui suicida in cella.

Mahmoud di 38 anni, senza fissa dimora adesso ha una casa in cielo. Impiccatosi in cella.

 

In carcere c'è solo un agente di polizia penitenziaria per ogni singolo piano, cioè un solo poliziotto ogni 70 detenuti circa, tranne, ovviamente, che a Natale, Pasqua e ferragosto quando il rapporto, per via delle ferie o malattie, scende ad un solo agente ogni due piani, ogni 150 detenuti. Questi sbirri riescono pure a salvarti la vita, farti venire l'infermiere (uno solo per la notte per tutta la palazzina di quattro piani), ti portano i moduli da compilare, e tutto ma proprio tutto passa per il “capo”, la guardia. Giorno e notte in un continuo via vai. Se le prime vittime del sistema carcerario italiano sono i detenuti, non si può dimenticare il numero di agenti di polizia penitenziaria che finiscono annualmente e nel seguente ordine: dallo psicologo, in ospedale per traumi da aggressione e, infine, in terapia riabilitativa. Il costante e disumano stress a cui sono quotidianamente sottoposti li induce a sviluppare malattie quali la psoriasi, perdica di capelli, ma anche ansia, deflessione dell'umore, tic nervosi. Si, parecchi sono nervosi! Ma non cattivi. Nel complesso la professionalità li salva.

Provate a capire cosa significa per un agente di polizia penitenziaria, padre di famiglia e magari prossimo alla pensione, essere costretto con altri cinque, sei colleghi, equipaggiati di soli guanti in lattice come quelli del farmacista, entrare in una cella di tre tagliagole per immobilizzare un extracomunitario che si sta affettando le braccia a colpi di lametta. Sale la squadretta di sette otto bestioni in divisa. Iniziano le grida tra chi ride e chi se ne frega. Stasira teatro! Cessa la battitura del pentolame alle grate. Il primo giro di mandata. Comincia una lunga ed estenuante trattativa. Si rassicura il prigioniero, “andrà tutto bene, stai tranquillo”. Il secondo giro di mandata, il blindo è aperto, sono già dentro! Finiu u' cinamo! Riprende la battitura.

Forse a Guantanamo Bay tutto queto poteva avere un senso. Ma in Italia? Nel 2024? Può l'italia essere considerato un Paese civile?

Il carcere è come una piccola città organizzata ad operare praticamente senza sosta. La notte passa il carrello per la distribuzione delle terapie e gli psicofarmaci e se qualcuno non si taglia le vene o non va fuori di testa si riesce anche a dormire. Alle 4 o alle 6 del mattino chiamano qualcuno per un trasferimento presso altra casa circondariale o per la traduzione in udienza. Sei di Messina detenuto a Trapani e l'udienza sarà a Catania, locus commissi delicti. Della sentenza non te ne frega più niente, ti fai un “viaggio” per rivedere qualcuno della famiglia.

Quante cose ci sarebbero da fare …