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02/05/2024 06:00:00

Le donne guadagnano poco? Sì, soprattutto in Sicilia

 Per avere qualcosina per te. Quando ero ancora una studentessa universitaria, ho dovuto mandare giù questa frase qui infinite volte. Era la conclusione di un discorso sempre uguale (per altro anche abbastanza insistente) che recitava più o meno così: che te ne frega della laurea, trovati un part-time qualsiasi che ti dia soldi subito, tanto della carriera che te ne fai?, l’importante è avere qualcosina per te.

Ironia della sorte, non ho fatto carriera davvero; ma mi sono laureata, per fortuna. In altre parole: forse non sono riuscita a liberarmi del tutto dalle catene di questa narrazione, ma nel mio piccolo ho fatto quello che potevo.

C’è un retaggio culturale attorno alle donne che lavorano e guadagnano, qui in Sicilia e nel Sud tutto (anche d’Europa), che ormai le donne stesse hanno interiorizzato come verità naturale. Certo, non tutte; ma le eccezioni non bastano a frenare gli effetti di un fenomeno sociale, che ha radici lunghe chilometri e secoli.

Basti pensare che la zona geografica in cui ci troviamo dà il nome a un modello di welfare – il welfare mediterraneo, appunto – che si basa proprio su questo retaggio: le donne non fanno carriera perché sono tenute a prendersi cura dei soggetti fragili di una società, cioè bambini, anziani, invalidi. Sono tenute a farlo gratis, anche; ed è questa la parte peggiore.

Il lavoro di cura familiare – lo sappiamo – non è retribuito. Il ritorno sulle ore spese a gestire le esigenze di figli e parenti sarebbe quindi soprattutto di carattere mentale o emotivo. In sostanza, il welfare mediterraneo dà per scontata la propensione alla cura da parte delle donne e, peggio ancora, immagina che sia sufficiente perché si sentano appagate.

Secondo questa logica, le donne non hanno bisogno di un progetto lavorativo, di ambizione, indipedenza economica o – che bella parola! – di libertà. Alle donne basta invece una casa a cui dedicarsi e una famiglia da servire. Quando mi arrivava all’orecchio quella frase («per avere qualcosina per te, alla fine»), pensavo a quanto fosse piccolo il mondo delle donne: senza pretese o sogni, solo capricci da soddisfare con i pochi soldi guadagnati, e aspirazioni chiuse dentro quattro mura.

I dati raccolti da GLT Foundation fanno pensare che sia una convinzione diffusa. Questi che riporto qui sotto sono stati estrapolati da Martina Gangi, responsabile del Progetto Focus Sud di GLT Foundation, sulla base di un’indagine nazionale pubblicata con il titolo L’iceberg dell’indipendenza economica delle donne in Italia.

Nel Sud e nelle Isole, attualmente, circa il 60% delle intervistate non ha un lavoro full-time. Di queste, il 35% lavora part-time, per scelta (20%) o per prendersi cura di un familiare (15%). Il restante 65% invece non lavora, e per diverse ragioni: qualcuno (36%) cerca lavoro e non lo trova; qualcun altro ha rinunciato a cercarlo (14%); altre non lavorano per scelta (15%).

Sono dati che rispecchiano molto bene la situazione finanziaria delle donne al Sud e nelle Isole. Del resto, il lavoro part-time non è un semplice uno sconto sulle ore. Lavorare part-time significa invece guadagnare di meno, talvolta anche sulla base di un monte ore eccessivo (come succede con i falsi contratti part-time, che in Sicilia sono un fenomeno particolarmente diffuso).

In questo scenario, il rapporto delle donne con i soldi non è sicuramente un rapporto confidenziale. Guardiamo ancora una volta ai dati di Progetto Focus Sud e GLT Foundation: circa il 28% delle donne intervistate al Sud e nelle Isola dichiara di dipendere direttamente dal partner (che sia il marito, il compagno, etc.). È più o meno la stessa percentuale di donne che NON ha un conto corrente o che ne ha uno cointestato.

È come se, per molte donne del sud, i soldi fossero in effetti soltanto un mezzo per soddisfare un bisogno o un desiderio («qualcosina per te!») e non una riserva di valore.

Certo non è un problema soltanto del Sud: stando a quanto ci dice GLT Foundation, la media delle 3 donne su 10 che dipendono economicamente dal partner vale per il Sud e per tutto il Paese. Eppure in Sicilia questi dati hanno un peso maggiore, perché è proprio qui che “girano” molti meno soldi: già di base si guadagna meno rispetto che al resto di Italia. Le risorse finanziarie che rimangono nelle mani delle donne sono quindi veramente insufficienti.

I dati per esempio ci dicono che la RAL media in Sicilia (cioè la Retribuzione Annuale Lorda) è di 27.679 €. La media tiene conto dello stipendio di dirigenti, manager, impiegati e operaie [fonte: JP Salary Outlook 2024]. Sappiamo anche che in Italia, in media, c’è un gender pay gap pari al 7.3%. Se applichiamo questo dato alla Sicilia, scopriamo che le donne, in un anno, guadagnano circa 4mila € in meno rispetto agli uomini.

Purtroppo però è un dato che non possiamo applicare fino in fondo, perché in Sicilia il gender pay gap è ben più alto. Fino a qualche anno fa il divario salariale in Sicilia, e in particolare nelle province di Siracusa, Ragusa e Trapani, era pari al 30%. Nello stesso anno, in Italia si fermava al 15%.

Non sappiamo se sia ancora così, non abbiamo dati certi e più recenti. Ma con un gender pay gap del 30%, la RAL media delle donne siciliane scenderebbe a 19.375 €, lì dove «media» include sempre gli stipendi di dirigenti, manager, impiegate e operaie.

Nel suo ultimo libro (“Le signore non parlano di soldi”, Rizzoli, 2023), l’economista Azzurra Rinaldi dedica un capitolo all’indipendenza economica. E scrive, rubando le parole di un’altra economista, Charlotte Perkins Gilman, che «l’autonomia finanziaria, oltre che a migliorare le condizioni di vita delle donne, è indispensabile anche per rafforzare la loro posizione all’interno del matrimonio».

Ma c’è molto più di questo, dietro l’importanza di avere un reddito sufficiente. Quasi cento anni fa, per fare un esempio, Virginia Wolf scriveva in un saggio bellissimo che una donna deve avere «soldi, e una stanza tutta per sé […] per viaggiare e per oziare, per contemplare il futuro o il passato del mondo». Per essere libera in buona sostanza, ma anche per allargare quel mondo piccolo femminile che avevo immaginato, dentro cui non avrei mai avuto una stanza ma solo qualcosina per me.

Daria Costanzo