Nell'operazione della polizia di Trapani che, un paio di settimane fa fa, ha sgominato un'organizzazione criminale che nel quartiere di San Giuliano, ad Erice, aveva installato una fiorente attività di spaccio di droga, soprattutto crack, balza all'occhio, tra gli arrestati, anche la presenza di alcune donne (potete leggere qui).
Ai domiciliari, infatti, sono finiti Lucia Sodano (1996), Maria Salafia (1977), Daniela Gabriele (1982). In carcere è finita Paola Jessica Adragna (1989), moglie di Maurizio Di Pietra, ritenuto il capo dell'organizzazione. Secondo l'accusa, ha costantemente supportato il marito nella gestione della piazza di spaccio partecipando attivamente sia alle attività di vendita dello stupefacente, sia a quelle alla preparazione, lo stoccaggio della droga e il mantenimento dei rapporti con gli elementi dell'organizzazione.
È importante ricordare che le persone accusate sono presunte innocenti fino a prova contraria.
Maurizio Di Pietra, il narcotrafficante di San Giuliano, utilizzava le case di alcune donne del quartiere come nascondiglio per la sua merce illegale. Le donne, in cambio di somme di denaro irrisorie, acconsentivano a custodire la droga nelle loro abitazioni, esponendo se stesse e le loro famiglie a gravi rischi.
Le indagini, avviate nel settembre 2020, hanno permesso di individuare e arrestare Di Pietra e le sue complici, Maria Salafia e Lucia Sodano. Le intercettazioni e le perquisizioni hanno rivelato un sistema collaudato: Di Pietra consegnava la droga alle donne, che la nascondevano nelle loro case, pronte a consegnarla al momento opportuno.
Le dichiarazioni delle arrestate hanno fatto emergere la drammatica realtà: Salafia, madre di due figlie, ammette di aver accettato l'incarico per 150 euro a settimana, spinta da una situazione economica precaria. Sodano, disoccupata, riceveva invece 100 euro a settimana per lo stesso servizio. Entrambe le donne erano all'oscuro dell'entità del guadagno di Di Pietra e si accontentavano di somme irrisorie, mettendo a repentaglio la loro libertà e la sicurezza delle loro famiglie.
Dopo l’arresto, avvenuto il 17 Dicembre del 2020, il Tribunale di Trapani ha condannato le due donne, con sentenza irrevocabile, a due anni di reclusione e 8700 euro di multa.
Quando vengono scoperte dalla polizia, Di Pietra cambia strategia. Ha perso 16mila euro di incassi e non vuole più sbagliare. Si rivolge allora ad un'altra donna, Daniela Gabriele, sua vicina di casa in Via Ciullo D'Alcamo. Non deve custodire tutta la droga, ma solo poche quantità per volta. Una sorta di fermo posta di comodo. Inoltre è utile per conservare denaro, ed evitare che venga sequestrato.
UNA VERA E PROPRIA ORGANIZZAZIONE. Il pubblico ministero ritiene che siamo davanti ad una vera e propria organizzazione criminale, "operante nel territorio di Trapani finalizzata al traffico di rilevanti partite di droga ed al suo smercio al dettaglio". Le relazioni tra gli indagati (come rivelate dalle intercettazioni), i rapporti di tipo gerarchico svolti ed i concreti ruoli di comando di Di Pietra, coadiuvato dai familiari (la moglie e i due figli) e dai più stretti complici, esecutori degli ordini, mostrano l’esistenza di un gruppo criminale dotato di un’organizzazione finalizzata allo spaccio di droga. Molta attenzione era data, ad esempio, al conteggio dei ricavi della vendita della droga, e agli investimenti in nuove forniture per aumentare il "mercato" mortale, rovinando decine e decine di giovani, in un sistema collaudato.
SAN GIULIANO. San Giuliano è un quartiere popolare che si estende tra il comune di Trapani e quello di Erice, caratterizzato da un’elevata presenza criminale, dovuta ad un’urbanizzazione spesso senza controllo, a cui ha fatto seguito l'occupazione abusiva delle case popolari, negli anni, e la ghettizzazione di buona parte della popolazione. Un contesto dove, purtroppo, l'illegalità è diffusa, soprattutto lo spaccio di stupefacenti, che coinvolge interi gruppi familiari e gruppi criminali che trasformano le palazzine del quartiere in vere e proprie centrali di spaccio. Non è un caso, ad esempio, che all'interno del quartiere ci sono alcune sentinelle che avvertono della presenza delle forze dell'ordine o di soggetti estranei al quartiere, così come ci sono tantissimi impianti di videosorveglianza, e grate metalliche a difesa delle abitazioni. E' quello che accadeva in Via Ciullo D'Alcamo, la zona che Di Pietra e la sua banda avevano trasformato nella loro centrale di spaccio. Tutto ciò rende difficile, per la polizia, organizzare interventi nella zona, perchè la prima cosa che fanno gli spacciatori, quando si accorgono della presenza degli agenti è buttare nello scarico lo stupefacente.
INTANTO, A MARSALA. Il giudice delle udienze preliminari di Marsala dovrebbe decidere oggi su riti abbreviati e rinvii a giudizio nel procedimento che vede imputate le undici persone coinvolte, lo scorso anno, nell’operazione antidroga dei carabinieri “Fox” (arresti del 9maggio 2023), che ha fatto luce su un traffico di cocaina da Catania verso Capo Boeo. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, ogni mese a Marsala sarebbero arrivati circa due chili di cocaina che avrebbero “inondato la città favorendo lucrosissime entrate illecite per i trafficanti”. Quattordici le persone indagate, sei delle quali arrestate. In carcere furono rinchiusi Vincenzo Fabio Licari, Pietro Marino, entrambi di Marsala, e per Agatino Lorenzo Abate, di Catania. Ai domiciliari, invece, furono posti le marsalesi Giorgia Marino (figlia di Pietro), Giovanna Martino, entrambe in libertà dopo circa due mesi, e il catanese Loris Carmelo Abate. Obbligo di dimora fu disposto per Vittoria Stefania Squillace, Gaspare Maurizio e Vincenzo Andrea Giannone, Francesco Vinci e Giuseppe La Mantia. Altri tre indagati a piede libero. Il rinvio agiudizio è stato chiesto per Pietro Marino, Agatino Lorenzo Abate, Loris Carmelo Abate, Carlo Frazzitta, Vincenzo Fabio Licari, GaspareMaurizio Giannone, Vincenzo Andrea Giannone, Giuseppe La Mantia, Francesco Vinci, Riccardo Giacalone e Alberto Giacalone. Nell’ambito della stessa indagine, l’1 giugno del 2023, era scattato il sequestro preventivo di beni mobili e immobili “riconducibili” a Vincenzo Fabio Licari. Il sequestro venne operato dai carabinieri in esecuzione di un provvedimento emesso dal gip su richiesta della Procura. Tra i beni ai quali sono stati posti i sigilli, anche il “bar Pieruccio”, accanto l’ospedale di Marsala “Paolo Borsellino”. Per gli investigatori, il bar e gli altri beni sequestrati sono il provento del traffico di droga o comunque hanno un valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato da Licari. Quest’ultimo, infatti, disoccupato, secondo l’accusa, avvalendosi di prestanome o parenti stretti per eludere le indagini patrimoniali, avrebbe avuto la diretta disponibilità, insieme alla moglie, di due immobili, una casa su tre livelli e il chiosco adibito a bar, peraltro costruiti abusivamente, e vari beni mobili (due auto e due ciclomotori), di valore non giustificabile rispetto ai redditi dichiarati. Nell’operazione “Fox” erano già state sottoposte a sequestro preventivo due società di vendita e noleggio veicoli, con sede a Marsala, con cui gli indagati avrebbero organizzato, in più occasioni, il trasporto della droga da Catania a Marsala avvalendosi proprio di insospettabili auto a noleggio. A difendere gli imputati sono gli avvocati Luigi Pipitone, Vincenzo Forti, Francesca Frusteri e Andrea Pellegrino.