«L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire» è l’epigrafe sulla facciata del Teatro Massimo di Palermo, il teatro più grande in Italia e il terzo in Europa, che lunedì ha visto la alla messa in scena più singolare di questa campagna elettorale per le Europee. Sul palco, due primattori di livello: Giorgia Meloni e Renato Schifani. Coppia ben assortita, si completano a vicenda: siderale distanza anagrafica, tanto per cominciare, opposta empatia. Tanto la prima ama farsi chiamare Giorgia, quanto il secondo non sopporta essere chiamato Renato. In comune però hanno il modo in cui stanno vivendo la campagna per il voto di giugno, che potrebbe mettere a rischio le tenute dei rispettivi governi. Anzi, se per Meloni è una possibilità, per Schifani è una certezza: dopo il voto ci sarà il rimpasto, che terrà conto dei rapporti di forza all’interno del centrodestra siciliano usciti dalle urne ed in particolare dell’ordine di arrivo dei candidati all’interno di Forza Italia, dove ogni candidato è espressione di una corrente.
Ma cosa è accaduto nel teatro più grande d’Italia? Uno show scritto e pensato proprio per l’Europa. La firma dell’accordo tra Stato e Regione per il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027 per la Sicilia. Un copione, pardon, un documento composto da sessantotto pagine. Si tratta dello strumento finanziario principale attraverso cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali. La Sicilia, che, evidentemente, dopo decenni di sussidi non riesce ancora a colmare il suo gap, fa la parte del leone: 6,8 miliardi di euro, il ventuno per cento della spesa totale. Ma, va detto, l’ampio carnet di interventi previsti è stato falcidiato dallo scippo di 1,3 miliardi di euro per il cofinanziamento per realizzare il famoso Ponte sullo Stretto, imposto da Matteo Salvini.
Nella rimanente parte, ci sono soprattutto interventi contro la siccità: duecentoventi milioni di euro per ventuno progetti per le reti idriche, ad esempio, o la costruzione di nuovi dissalatori. I soldi che rimangono “extra Ponte” per i trasporti, invece, verranno realizzati per le strade (seicentonovanta milioni di euro per centosessanta progetti). Le opposizioni parlano di «firma-evento» con i «soldi dei siciliani, già ampiamente saccheggiati». Il riferimento è al corposo taglio di investimenti per strade, infrastrutture e interventi contro il dissesto idrogeologico, che è stato fatto per trovare spazio per l’ingombrante progetto del Ponte sullo Stretto di Messina.
A ben guardare, in effetti nell’esibizione teatrale di Schifani e Meloni – che ha visto anche, come attore non protagonista, il ministro per la Coesione, Raffaele Fitto – qualcosa non torna. Il copione non è stato studiato nei dettagli. La somma di 6,8 miliardi di euro non è frutto di una concessione del governo Meloni, ma di una legge dello Stato. L’Isola è ancora, purtroppo, “Obiettivo 1” dell’Unione Europea (Le regioni dell’obiettivo 1 sono quelle in ritardo di sviluppo, cioè con un prodotto interno lordo pro-capite inferiore al settantacinque per cento della media comunitaria).
La firma, in pratica, era una formalità dovuta sulla quale è stato costruito l’evento pre-elettorale. E ci sta. Il buco nel copione sono proprio gli 1,3 miliardi di euro scippati ai siciliani in nome del Ponte, ai quali si aggiungono altri ottocento milioni di euro che sono stati destinati obtorto collo alla costruzione degli inceneritori che dovrebbero risolvere l’anno problema della raccolta dei rifiuti in Sicilia.
Schifani, Meloni e tutti gli altri, magari, potevano scegliere un luogo istituzionale per questa firma, e invece spiegar, pubblicamente, una volta per tutte, il vero tema. Che non è quanti soldi spettano alla Sicilia, ma come questi soldi vengono spesi, se ormai da quasi trent’anni si assiste a una programmazione pluriennale basata sugli stessi proclami.
Anche perché, fuori dai grandi progetti, come il Ponte o i termovalorizzatori, la gran parte di questi fondi si perde in un rivolo di microfinanziamenti che, nel tempo, hanno creato un asse sul quale costruire clientele. Per capirci, nei progetti finanziati dall’accordo di Schifani-Meloni, ci sono pure, cogliendo qualche fior da fiore qua e là 5,8 milioni per la casa albergo per anziani di Ravanusa; 4.5 milioni per la Colonia Marina di Licata; 3,1 milioni per il palazzo municipale di Maletto (Comune di ben tremilacinquecento abitanti, nella piana di Catania), 3 milioni per il convento dei padri cappuccini di Geraci. E poi ci sono castelli, conventi, abbazie da recuperare qua e là.
L’esperienza, poi, dimostra che spesso vengono finanziati progetti astrusi, come il recente caso di SeeSicily, con dieci milioni agli albergatori per promuovere, con dei voucher, l’ospitalità alberghiera, e dei quali si è persa traccia. Ma questa, d’altronde, è la Regione dove i fondi europei del Fondo europeo di sviluppo regionale stavano per essere utilizzati, a Cannes, con un affidamento diretto di 3,7 milioni di euro per un progetto su donne e cinema, con il solo affitto dell’Hotel Majestic che costava novecentomila euro. O che spende i soldi comunitari per sponsorizzare “Ballando con le Stelle”, il noto programma Rai, o gli eventi della Gazzetta dello Sport. E siccome la maledizione è sempre quella, gattopardesca, del cambiare tutto affinché nulla cambi, ecco che, nonostante polemiche e fallimenti, tornano per la promozione turistica, anche in questo piano, centotrentacinque milioni di euro.
Colpisce, poi, il numero, zero euro, per le aree innovazione e ricerca e sviluppo. Nelle due aree tematiche, scrivono i dirigenti che hanno curato il piano, la giunta regionale «non ha apprezzato alcune destinazione di risorse». D’altronde questa è politica, mica arte. Qui non si mira «a preparar l’avvenire», come insegna l’epigrafe al Massimo, ma semplicemente a vincere le elezioni, per tirare a campare un altro poco.