Una vicenda che sembra tratta da un film di mafia, ma è cruda realtà. A Napoli, nella periferia di Pianura, un ragazzo di soli 16 anni ha ucciso brutalmente il suo amico d'infanzia, Gennaro Ramondino, seguendo un ordine impartito da un clan criminale. Gennaro, vent'anni, era nato e cresciuto nel quartiere, dove aveva intrecciato legami con i coetanei, tra cui il suo stesso assassino. Ma la malavita non conosce affetti, e per il giovane killer gli ordini del clan hanno prevalso su ogni legame.
La dinamica dell'omicidio, ricostruita dagli inquirenti, è sconvolgente: il 31 agosto scorso, il sedicenne ha attirato l'amico in una trappola, in una zona di via Comunale, teatro dello spaccio di droga gestito dalle bande locali. L'esecuzione è stata decisa per questioni legate agli "affari" del gruppo criminale. Il giovane killer ha sparato a Gennaro senza esitazione, nonostante i tentativi di alcuni membri del gruppo di fermarlo, consapevoli delle conseguenze che avrebbe portato un omicidio: attirare l'attenzione delle forze dell'ordine e mettere a rischio il business della droga.
Non era la prima volta che il ragazzo si rendeva protagonista di episodi violenti. Era già in custodia cautelare per il tentato omicidio di un altro giovane, commesso con la complicità di Massimiliano Santagata, giovane ras del quartiere Pianura. La caduta del boss, arrestato di recente, aveva destabilizzato il gruppo, generando tensioni interne e una lotta per mantenere il controllo del territorio. Gennaro Ramondino, formalmente incensurato, sembrava aver avuto legami con il giovane boss, e la sua eliminazione era vista come una necessità per il mantenimento degli equilibri criminali.
Dopo l’omicidio, il corpo di Ramondino è stato trasportato in campagna e dato alle fiamme, nel tentativo di occultare ogni traccia. Nelle settimane successive, un altro membro del gruppo è stato arrestato per favoreggiamento e distruzione del cadavere. Gli investigatori, che hanno trovato anche l’arma del delitto sotterrata nella zona di Pianura, hanno chiuso il cerchio sull’omicidio, ma la violenza efferata con cui è stato compiuto lascia sgomenti.
Il sedicenne ha ricevuto la notifica del provvedimento nel carcere minorile dove era già detenuto. Quando è stato interrogato dai magistrati, ha scelto di non rispondere, avvalendosi della facoltà di restare in silenzio, proprio come farebbe un boss consumato.
Questa vicenda mette in luce l’enorme problematica della criminalità organizzata che, senza scrupoli, coinvolge sempre più giovani nella spirale di violenza. A soli 16 anni, il ragazzo è già diventato l’artefice di un omicidio efferato, in un contesto in cui la vita e la morte sembrano decise a colpi di pistola e per "questioni di affari".