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28/10/2024 06:00:00

Ecco perché “Iddu”, il film su Messina Denaro, è geniale

 “Iddu” è senza ritmo, con una narrazione che appare lenta, eccessivamente simbolica. L’aura di ridicolo con cui si è voluto rappresentare Matteo Messina Denaro non è immediatamente percepibile, risultando frammentaria e da cogliere, a differenza del coprotagonista (l’ex sindaco Catello Palumbo) per il quale invece è teatralmente evidente, sullo sfondo della disperazione.

Ma il film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza è geniale. Non tanto per il contenuto o per l’eccellente bravura di Elio Germano nella parte del boss e di Toni Servillo nella parte di Catello. Ma per come è stato presentato, per i trailer, per le inevitabili polemiche che ha suscitato prima dell’uscita nelle sale, per le anteprime sapientemente proiettate in Sicilia, partendo dai territori protagonisti del racconto.

 

È geniale perché lo spettatore non vedrà nulla delle stragi, del rapporto tra Messina Denaro e Totò Riina, delle guerre di mafia, della malattia e della cattura del boss, dei suoi interrogatori in carcere, della sua morte. Gli autori si sono ispirati al periodo della latitanza in cui Messina Denaro intratteneva un rapporto epistolare con l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino che, collaborando con i servizi segreti, stava lavorando per catturarlo.

“Liberamente” ispirati. Al punto che anche in questo scambio di pizzini gli elementi di realtà sono piuttosto residuali. Il latitante non li scrive di suo pugno, come è emerso ancora prima dell’arresto, ma li detta ad una donna che li batte a macchina, fedele collaboratrice che cura una latitanza declinata prevalentemente tra le mura di una stanza in città.

 

Il film ha una premessa chiara: “La realtà è solo un punto di partenza, non una destinazione”. Ecco perché, perfino i testi delle lunghe lettere con l’ex sindaco, in alcuni punti, risultano diversi. Una libera ispirazione, certo, ma i personaggi sono realmente esistiti: nella realtà, Vaccarino è l’unico ex sindaco che dialogava col boss per conto dei servizi. E, con l’esercizio della fantasia, i registi non gli fanno fare certo una bella figura, rappresentandolo come un condannato per mafia costretto, per non tornare in carcere, a collaborare coi servizi. Un uomo finito, schernito persino dalla propria moglie, che gli augura di morire. Ma gli autori hanno detto più volte che questo non è un film giornalistico e che l’ex sindaco di Castelvetrano è servito loro soltanto per rappresentare un personaggio da commedia all’italiana, come Alberto Sordi. Ovvio che il figlio di Vaccarino, proprietario dell’unico cinema della città, si sia rifiutato di proiettarlo.

Cosa diversa invece per Matteo Messina Denaro, sul quale spiegano di aver fatto un lavoro di ricerca psicologica profonda, perché “Non ti puoi permettere di sbagliare il profilo psicologico della persona intorno a cui sviluppi la tua storia e che è un personaggio che ha determinato fatti importanti della cronaca nera italiana degli ultimi trent’anni”. Quanto questo lavoro abbia restituito un profilo psicologico credibile del personaggio reale è difficile dirlo.

 

È geniale anche per come, nelle diverse interviste, i registi lo abbiano presentato. Secondo Fabio Grassadonia, il film “affronta una delle pagine più nere della storia della nostra Repubblica”. Pagine nere che però nel film non ci sono. E chi, dopo averlo visto, si è chiesto che tipo di riflessione può essere fatta su dei contenuti che non rispecchiano la realtà, si è sentito rispondere che bisogna avere una mente letteraria, andare oltre i fatti e che il film rappresenta la miseria grottesca di un boss costretto a vivere come un sorcio. Peccato che nella realtà Messina Denaro non vivesse a bibbia e cicoria come il “collega” Bernardo Provenzano. Iddu viaggiava, tra resort e ristoranti, passeggiava in centro dove (con una falsa identità) offriva caffè agli amici… Altro che sorcio.

 

Il film è geniale non solo per la costruzione (fantasiosa) del grottesco e del ridicolo sul mondo che gravitava attorno al boss, ma anche per aver determinato (nella realtà) delle reazioni degne di nota.

Infatti, dopo il (sacrosanto) diniego di Salvatore Vaccarino alla proiezione di Iddu nel suo cinema, la sola idea che qualcuno potesse pensare che nella città di Castelvetrano il film non venisse proiettato per rispetto al boss, ha portato il sindaco Giovanni Lentini a proiettarlo a teatro. Anche il sindaco Giuseppe Castiglione di Campobello di Mazara, dove il boss ha trascorso l’ultima parte della sua latitanza all’insaputa dei cittadini (almeno la maggior parte) e degli investigatori, lo ha fatto vedere agli studenti, compresi quelli delle medie. Insomma, se proietti Iddu nella tua città, nessuno potrà dire che i tuoi cittadini sono omertosi o simpatizzanti dell’ormai ex capomafia.

 

Il ridicolo più plateale l’ha invece raggiunto Repubblica, con un articolo intitolato: Castelvetrano guarda Iddu ma sui muri c’è solo Joker, il film caro a Messina Denaro. Nel sottotitolo si legge: Folla alla proiezione voluta dal Comune dopo il rifiuto dell’unico cinema che ha tappezzato la città con un altro volto: quello che il boss aveva in casa.

Cos’era successo? Semplicemente, che nella via del cinema c’erano sul muro i manifesti del film “Joker”, che in quel periodo veniva proiettato in tutte le sale d’Italia. Tutte.

Ecco, se per la figura di Messina Denaro il senso del ridicolo è da cogliere, Repubblica sembra averlo superato di gran lunga, contagiato dall’esercizio di fantasia dei due registi.

Insomma, “Iddu” è geniale anche per questo. È riuscito a trasformare la realtà in un punto di partenza. E Repubblica l’ha imitato.

 

Egidio Morici