Alla vigilia della sentenza d’appello, Lorena Lanceri, condannata in primo grado a 13 anni e 4 mesi per associazione mafiosa, ha reso dichiarazioni spontanee davanti ai giudici, cercando di difendere il proprio ruolo nella vicenda che la lega all’ex boss Matteo Messina Denaro.
"Io lo conoscevo come Francesco Salsi"Lanceri, tra le lacrime, ha raccontato il legame personale e affettivo con il capomafia, spiegando che all’inizio lo conosceva con un nome falso, Francesco Salsi, e che non sapeva chi fosse realmente. "Quando ho saputo chi era, nella mia mente comunque ho continuato a percepirlo come la persona che avevo incontrato," ha detto, aggiungendo che lui si era presentato come vittima di un’ingiustizia e che lei gli aveva creduto.
"Per me era un periodo difficile, sia con mio marito che in famiglia. Avevo problemi di autostima e non nego che gli ho voluto bene. Lui con me era gentile e mi faceva stare bene," ha dichiarato, sottolineando che l’amore per i suoi figli è l’unica cosa che le dà forza per affrontare il processo.
Il ruolo nella rete di protezione del bossLorena Lanceri venne arrestata insieme al marito, Emanuele Bonafede, cugino del geometra che ha prestato l’identità a Messina Denaro durante la sua latitanza. Bonafede è stato condannato a 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento.
Secondo gli inquirenti, Lanceri non si è limitata a intrattenere una relazione sentimentale con il boss, ma ha anche svolto un ruolo attivo nella sua rete di protezione. La donna avrebbe garantito la riservatezza dei suoi movimenti e gestito la comunicazione tramite i pizzini, strumento con cui Messina Denaro manteneva i contatti con i suoi affiliati e familiari nonostante la latitanza.
Denaro, regali e favoriGli investigatori hanno trovato prove del rapporto privilegiato tra Lanceri e Messina Denaro, incluso un appunto scritto a mano dal boss, in cui era annotata la cifra spesa per acquistare un Rolex per il figlio di Lanceri. Tra i benefici ricevuti dalla coppia, ci sarebbero state anche somme di denaro e altri regali, elargiti dal capomafia in cambio del loro sostegno logistico.
La difesa di LanceriDurante il suo intervento, Lanceri ha negato di essere una criminale: "Se vado avanti in questo inferno è solo per l’amore che ho per i miei figli. Del resto non mi interessa più nulla." Ha cercato di umanizzare il rapporto con Messina Denaro, spiegando che il loro legame si era rafforzato quando lui si era ammalato della stessa malattia della madre di lei.
La sentenza in appelloOra la Corte d’Appello dovrà decidere se confermare o modificare la pesante condanna inflitta a Lorena Lanceri. Il caso rappresenta uno spaccato inquietante delle dinamiche che hanno protetto uno dei latitanti più pericolosi d’Italia e che hanno coinvolto non solo affiliati, ma anche persone apparentemente insospettabili.
La sentenza sarà un ulteriore tassello nella lunga storia di Messina Denaro e della sua rete di protezione, che ha permesso al boss di rimanere nascosto per decenni nonostante la sua notorietà come capo di Cosa Nostra.