La Corte d’Appello ha deciso di ridimensionare le pene inflitte in primo grado a Lorena Lanceri e al marito Emanuele Bonafede, la coppia di "vivandieri", accusati di aver favorito la latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Le condanne, originariamente severe, sono state significativamente ridotte in secondo grado, con una riqualificazione dei reati contestati.
Le nuove pene
Lorena Lanceri, nota anche con il nome in codice “Diletta” e ritenuta amante del boss, ha visto la propria condanna scendere da 13 anni e 8 mesi a 5 anni e 8 mesi. La decisione si basa sulla riqualificazione del reato contestato: da concorso esterno in associazione mafiosa a favoreggiamento aggravato. Il marito, Emanuele Bonafede, accusato dello stesso reato, ha ottenuto una riduzione della pena da 6 anni e 8 mesi a 4 anni e 4 mesi. Entrambi sono stati difesi dagli avvocati Giuseppe e Clizia Ferro.
Il ruolo della coppia
Secondo l’accusa, Lorena Lanceri e il marito avrebbero ospitato Messina Denaro nella loro abitazione a Campobello di Mazara, intrattenendolo a pranzo e cena, e fungendo da tramite per la trasmissione dei “pizzini”, i messaggi criptati utilizzati nel contesto mafioso. La relazione tra Lanceri e Messina Denaro sarebbe stata anche di natura sentimentale, come testimoniato da alcuni messaggi che hanno rivelato tensioni con un’altra presunta amante del boss, Laura Bonafede.
Le dichiarazioni di Lorena Lanceri
Lorena Lanceri si è difesa negando con fermezza di essere una criminale. Davanti alla Corte d’Appello ha spiegato di aver conosciuto Messina Denaro sotto il falso nome di Francesco Salsi, e di non aver compreso subito la sua vera identità. La donna ha raccontato di aver attraversato un periodo difficile dal punto di vista familiare e personale, sottolineando di essersi avvicinata al boss per il suo comportamento gentile e comprensivo. "Quando ho scoperto chi era, l’ho comunque percepito come la persona che avevo conosciuto, non come un criminale", ha dichiarato tra le lacrime. Lanceri ha anche aggiunto che la malattia di Messina Denaro, simile a quella che aveva colpito sua madre, aveva rafforzato il loro legame.
La ricostruzione delle indagini
La chiave per identificare Lorena Lanceri come “Diletta” è arrivata da una testimone, una donna che aveva condiviso con Messina Denaro alcune sessioni di chemioterapia presso la clinica “La Maddalena” a Palermo. La testimone ha raccontato agli inquirenti di aver ascoltato messaggi vocali in cui il boss parlava di una certa “Diletta” e le passava il telefono per una conversazione. L’analisi delle celle telefoniche ha poi confermato che i dispositivi di Messina Denaro e di Lorena Lanceri agganciavano le stesse aree di copertura durante i periodi di registrazione dei messaggi, identificando così la donna come colei che il boss chiamava “Diletta”.
Il giudizio della Corte
La Corte d’Appello ha riconosciuto che il comportamento di Lorena Lanceri non rientrava nel concorso esterno in associazione mafiosa, ma piuttosto in una condotta di favoreggiamento aggravato. Questa interpretazione ha portato a un sostanziale alleggerimento della pena, sebbene la coppia resti condannata per il loro supporto al latitante più ricercato d’Italia.